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DR. PIERLUIGI MICHELI nel 16° anniversario della nascita al cielo – Angelo Nocent

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1-SAM_6176RURSUM POST TENEBRAS SPERO LUCEM
Giobbe 17, 11-16

Giobbe si affida alla tomba

11 “I miei giorni passano,
i miei piani e i miei sogni svaniscono.
12 Gli uomini scambiano la notte
con il giorno,
dicono che la luce è più vicina
delle tenebre.
13 Anche se spero, la mia dimora
è nel mondo dei morti,
là sarò disteso nell’oscurità.
14 Alla fossa ho detto: “Tu sei mio padre!
al verme ho detto: “Tu mi sei madre
e sorella”.
15 Dove sei, ora, mia speranza?
Chi ti vedrà più?
16 Scenderai con me nel mondo dei morti,
assieme finiremo nella polvere”.

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Caro Pierluigi Micheli,

                                               permettimi di parlarti come ad un amico di vecchia data.

L’altra notte (20 Giugno 2014), ancor prima dell’aurora, sei venuto a visitarmi nel sonno. Non so bene dove mi trovavo. Ricordo solo che dovevo collocare in un posto di transito il quadro con la tua foto che sta tra gli scaffali della mia libreria, ben in vista alla tanta gente che affollava i locali e andava su e giù per le scale.

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Durante l’affannosa ricerca per collocarlo nel posto più visibile, mi sono svegliato di soprassalto e mi sono detto: “…ma in questi giorni è l’anniversario…che sia oggi…che sia già passato…” E non mi veniva in mente la data esatta. Così mi sono alzato per andar a verificare: 22 giugno 1998. Due conticini per dedurre che sono già trascorsi 16 anni dalla tua Pasqua eterna e nascita al Cielo.

cielo

Passato il sonno, sono sceso a farmi un caffè ma non ho più avuto pace: una voce interiore, insistente, mi diceva: “oggi vai a Milano al Cimitero Monumentale, vieni a trovarmi dove non sei mai stato…ti aspetto”.

Durante il giorno ho tergiversato al pensiero di dovermi fare non solo una cinquantina di chilometri ma che sarei finito in quel caos stradale che c’è sul piazzale del Camposanto per via di eterni lavori in corso. Ed è successo come immaginavo.

Lavori in corso di fronte al Cimitero Monumentale (foto Pietro Baroni)

Poi ti ho invocato e, miracolosamente, ho perfino trovato da parcheggiare gratuitamente in una stradina, all’ombra del sacro recinto.

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Con l’indirizzo nel taschino “N. 921 – Rialzo di ponente“, mi sono messo alla ricerca della tomba che ho trovato abbastanza in fretta. E adesso sono qui a riprodurla, come mi hai richiesto.

12-SAM_6162SAM_621311-SAM_61611-SAM_6176Dopo le angoscianti parole di Giobbe che ho trovate su un portale, consolante l’impatto con questo testo riepilogativo del pensiero di Paolo “La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?… Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!(Cor. 15, 50 – 56), un  rendimento di grazie al quale ho dato la mia piena adesione di fede.  Ma, fotografando di qua e di là, vedendo così tanti monumenti insigni, mi son tornate in mente le parole pasquali del Vangelo di Luca: “PERCHE’ CERCATE TRA MORTI COLUI CHE E’ VIVO?” (Lc 24, 1-12).

  • Ed ho pensato a Maria di Magdala, a Giovanna e Maria di Giacomo.
  • E alle altre che erano insieme e che andarono a raccontarlo agli apostoli.
  • E la loro reazione: “Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse”.

Così mi sono ripetutamente chiesto il significato di tale chiamata. Solo per dirmi “PERCHE’ CERCATE TRA MORTI …?

07-SAM_6154I tuoi genitori…

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Di  te  nemmeno una piccola foto. Ma il nome basta e  il titolo accademico va oltre il significato professionale: MEDICO DI DIO PER LA CITTA’ DELL’UOMO. Perché così hai speso la tua vita.

09-SAM_6159

basilica_sanmarco_milanoChiesa di San Marco – Milano

Qui hai pregato, ascoltato Mozart, Verdi, qui hanno pregato per te…« In paradisum deducant te Angeli; in tuo adventu suscipiant te martyres, et perducant te in civitatem sanctam Ierusalem. Chorus angelorum te suscipiat, et cum Lazaro quondam paupere æternam habeas requiem. »”

« In paradiso ti accompagnino gli Angeli, al tuo arrivo ti accolgano i martiri e ti conducano nella santa Gerusalemme. Ti accolga il coro degli Angeli e con Lazzaro, povero in terra, tu possa godere il riposo eterno nel cielo. »

Pierluigi Micheli

PERCHE’ CERCATE TRA MORTI …?

Forse volevi dirmi

  • che con Gesù la morte non interrompe la vita, ma le permette di fiorire in una forma nuova, piena e definitiva,
  • che la morte non allontana i nostri cari da noi, ma li avvicina,
  • che la loro non è un’assenza, ma una presenza.
  • Volevi dirmi che la morte non interrompe la vita?

Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”. Cosa può significare?

In Galilea Gesù non aveva parlato di peccatori, aveva parlato di anziani (i presbiteri), di sommi sacerdoti e di scribi, cioè i componenti del sinedrio, il massimo organo giuridico di Israele. Ora, dopo la morte di Gesù, costoro vengono qualificati come peccatori. Viene detto che i peccatori non sono quelli che trasgrediscono la legge, quelli che non riescono ad osservare tutti i dettami della legge, ma sono – e la denuncia dell’evangelista è tremenda – proprio coloro che pretendono di rappresentare Dio.

SAM_6166Coloro che si presentano o pretendono di essere i rappresentanti di Dio, per l’evangelista, in realtà sono peccatori, perché hanno anteposto il proprio interesse all’interesse degli altri, la propria convenienza al bene degli altri. Per questo hanno assassinato Gesù, per la loro convenienza.

SAM_6206Mamma mia, non voglio giudicare nessuno e, tanto meno, schierarmi dalla parte dei giusti. Anch’io mi sento di appartenere alla classe dei “peccatori”, a coloro che l’evangelista liquida con questa espressione “i peccatori”.

Ebbene le donne, nell’udire queste parole,  si ricordano l’annuncio di Gesù e vanno loro stesse – pur se all’epoca considerate le più lontane da Dio – vanno ad annunciare, a fare lo stesso lavoro, la stessa attività degli angeli, coloro che portano gli annunci agli undici. Stupendo: gli apostoli sono stati evangelizzati dalle donne.

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C’è un significato anche per l’oggi? E perché proprio a me vieni a dire che il ruolo della donna nel vangelo di Luca è importantissimo? Perché vieni a ricordarmi – a me uomo – che sono le donne che annunciano agli uomini che la vita è più forte della morte, ma gli uomini non ci credono?

Mi rendo conto che l’evangelista denuncia una mentalità maschilista e misogina, e il suo commento è severo: “Quelle parole parvero loro come vaneggiamento e non credevano ad esse”.

SAM_6222Le donne, per il fatto che Sara aveva risposto a Dio con una innocente bugia, non era considerata credibile. La loro testimonianza non era valida. E gli uomini, gli undici, nonostante l’insegnamento di Gesù, nonostante Gesù avesse accolto al suo seguito delle donne che qui appaiono come Maria Maddalena e Giovanna, sono ancora condizionati da questa mentalità. Quindi, quando le donne sono portatrici di un annuncio della vita che è più forte della morte, quest’annuncio non ha effetto, condizionato dalla mentalità maschilista, dalla misoginia del gruppo maschile che segue Gesù. Ma in tutto questo, io cosa c’entro?

Pietro al sepolcro

C’è un’eccezione. Pietro, che anche lui fa parte di questo gruppo, si mette in marcia, si mette in movimento verso il sepolcro, ma vede soltanto un sepolcro vuoto.

sepolcro-vuoto

Ecco il messaggio per me:

  • al sepolcro non c’è nulla da vedere.
  • Ora c’è soltanto una Parola da ascoltare,
  • da accogliere e far fiorire nella propria esistenza.

Se puoi – e so che puoi – dammi una mano. Perché sono sì un uomo. Ma, proprio per questo, assai poco credibile per dirlo in giro. Del resto, perché sei stato collocato nel trio MICHELI-PAMPURI-MARTINI come guida dei GLOBULI ROSSI?

Globuli Rossi Company - n

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NOVENA A DON LUIGI GIUSSANI INTERCESSORE DI GRAZIE…Così ho potuto visitare anche la tomba di Don Giussani che ho cercato a naso e che, fortunatamente,  – più sontuosa e visibile della tua  – è collocata nei pressi.

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TUTTO SU PIERLUIGI MICHELI:

http://pierluigimicheli.wordpress.com/

1-Martini Carlo Maria e Micheli dr. Pierluigi



IL CORPUS DOMINI DI DON TONINO BELLO VESCOVO

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corpus_domini1Don Tonino BelloNon riesco a liberarmi dal fascino di una splendida riflessione di Garaudy a proposito dell’Eucaristia: «Cristo è nel pane. Ma lo si riconosce nello spezzare il pane». Sicché oggi, festa del Corpo e del Sangue del Signore, mi dibatto in una incertezza paralizzante.

Parlerò dell’Eucaristia come vertice dell’amore di Dio che si è fatto nostro cibo? Dirò della presenza di Cristo che ci ha amati a tal punto da mettere la sua tenda in mezzo a noi? Spiegherò alla gente che partecipare al pane consacrato significa anticipare la gioia del banchetto eterno del cielo? Mi sforzerò di far comprendere che l’Eucaristia è il memoriale (che parola difficile, ma pure importante!) della morte e della risurrezione del Signore? Illustrerò il rapporto di reciproca causalità tra Chiesa ed Eucaristia, spiegando con dotte parole che se è vero che la Chiesa costruisce l’Eucaristia è anche vero che l’Eucaristia costruisce la Chiesa?

Non c’è che dire: sarebbero suggestioni bellissime, e istruttive anche, e capaci forse di accrescere le nostre tenerezze per il Santissimo Sacramento, verso il quale la disaffezione di tanti cristiani si manifesta oggi in modo preoccupante. Ma ecco che mi sovrasta un’altra ondata di interrogativi.

Perché non dire chiaro e tondo che non ci puòessere festa del «Corpus Domini» finché un uomo dorme nel porto sotto il «tabernacolo» di una barca rovesciata, o un altro passa la notte con i figli in un vagone ferroviario? Perché aver paura di violentare il perbenismo borghese di tanti cristiani, magari disposti a gettare fiori sulla processione eucaristica dalle loro case sfitte, ma non pronti a capire il dramma degli sfrattati? Perché preoccuparsi di banalizzare il mistero eucaristico se si dice che non può onorare il Sacramento chi presta il denaro a tassi da strozzino; chi esige quattro milioni a fondo perduto prima di affittare una casa a un povero Cristo; chi insidia con i ricatti subdoli l’onestà di una famiglia?

Perché non gridare ai quattro venti che la nostra credibilità di cristiani non ce la giochiamo in base alle genuflessioni davanti all’ostensorio, ma in base all’attenzione che sapremo porre al «corpo e al sangue» dei giovani drogati che, qui da noi, non trovano un luogo di accoglienza e di riscatto? Perché misurare le parole quando bisogna dire senza mezzi termini che i frutti dell’Eucaristia si commisurano anche sul ritmo della condivisione che, con i gesti e con la lotta, esprimeremo agli operai delle ferriere di Giovinazzo, ai marittimi drammaticamente in crisi di Molfetta, ai tanti disoccupati di Ruvo e di Terlizzi?

Purtroppo, l’opulenza appariscente delle nostre quattro città ci fa scorgere facilmente il corpo di Cristo nell’Eucaristia dei nostri altari. Ma ci impedisce di scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza, della solitudine. Per questo le nostre eucaristie sono eccentriche. Miei cari fratelli, perdonatemi se il discorso ha preso questa piega. Ma credo che la festa del Corpo e Sangue di Cristo esiga la nostra conversione. Non l’altisonanza delle nostre parole. Né il fasto vuoto delle nostre liturgie.

Alla finestra la speranza, San Paolo, Cinisello Balsamo


BUON GIORNO, SPIRITO SANTO – Angelo Nocent

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1-risveglio

E’ un’abitudine che mi ha suggerito un sacerdote prima di andare in Paradiso.

L’altro giorno, invece, durante la Confessione, un vecchio sacerdote mi ha detto: “Quando fai il segno della Croce, ricordati che stai benedicendo il mondo!”

Mappamondo

BUON GIORNO, SPIRITO SANTO,
UN SEGNO DI CROCE,
E TUTTO S’ILLUMINA D’IMMENSO!

P a s s a p a r o l a  !

passaparola

1-Scan10039

280.

Per mantenere vivo l’ardore missionario occorre una decisa fiducia nello Spirito Santo, perché Egli «viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8,26). Ma tale fiducia generosa deve alimentarsi e perciò dobbiamo invocarlo costantemente. Egli può guarirci da tutto ciò che ci debilita nell’impegno missionario.

È vero che questa fiducia nell’invisibile può procurarci una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove non sappiamo che cosa incontreremo. Io stesso l’ho sperimentato tante volte. Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera.

Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!

Vieni, vieni, Spirito d’amore,
ad insegnar le cose di Dio.
Vieni, vieni, Spirito di pace
a suggerir le cose che Lui ha detto a noi.

SCUSATE SE INSISTO !

 


SALE, FUOCO & SCHIENE… NEL SUO NOME – Angelo Nocent

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Trinità - Chagall 2

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo

Sono cristiano, mio Dio,
nel nome del Padre.
Insegnami
a rendere evidente
il suo abbraccio nel mio:
gratuito,
creativo,
appassionato
e sempre vivo.

Sono cristiano, mio Dio,
nel nome del Figlio.
Insegnami
a rendere trasparente
il suo volto nel mio:
accogliente,
energico,
meravigliato,
positivo.

Sono cristiano, mio Dio,
nel nome del Santo Spirito.
Insegnami
a rendere presente
il suo respiro nel mio:
leggero,
giocoso,
potente,
infinito.

Sono cristiano, mio Dio,
nel nome della Trinità.
Insegnami
a rendere concreto
il suo Amore nel mio:
incapace di Essere
senza vivere la comunione
di almeno tre Persone.

(Pierfortunato Raimondo, Abbiate sale in voi stessi – Effatà Ed. Cantalupa (TO), 2005)

 Sale_Alimentare

“Il sale è buono; ma se il sale diventa insipido, con che gli darete sapore? Abbiate del sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri.” (Marco 9:50-51)

SOMARELLI DI DIO, ma per essere anche sale della Terra.
SOMARELLI DI DIO, ma per essere anche Fuoco che aiuterà il pianeta a incendiarsi.

SOMARELLI DI DIO, ma, sulla Sua Parola, Fuoco che non si estingue.

saleQuando il cibo è insipido aggiungiamo il SALE, ma se il sale stesso diventasse insipido… ?

fuocoSOMARELLI…Ma se noi, che siamo il FUOCO, perdiamo la capacità di ardere…!?

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Asina con puledro 2


TU SAI TUTTO E ME LO CHIEDI? – Angelo Nocent

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1-Gesù e Pietro-001ATTENZIONE AI VERBI GRECI !

Giovanni 21, 15-23

15 Quando dunque ebbero pranzato dice Gesù a Simon Pietro: 
“Simone di Giovanni (cioè discepolo del Battista), mi ami tu (agapàs-me) più di costoro”? 
Gli risponde: “Si, Signore tu sai che ti voglio bene (philèo-se)”.
Gli disse: “Pasci i miei agnelli”.
16 Gli chiese di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami tu? (agapás-me
Gli rispose: “Si, Signore, tu sai che ti voglio bene (philèo-se)” . 
Gli disse: “Pasci le mie pecore”
17 Gli domandò una terza volta: 
“Simone di Giovanni, mi vuoi bene  (philèisme)?
Pietro si rattristò perché per la terza volta gli disse: “mi vuoi bene”? 
Gli rispose: “Signore, tu conosci tutto, tu sai che ti voglio bene (philèo-se)”
Gli disse: “Pasci le mie pecore”.

Masaccio - Polittico di Pisa - Martirii di S Pietro e del Battista1-2013-07-2133

UNA LETTERA DELL’AMATO PADRE AI GLOBULI ROSSI

Carlo Maria Martini 16Caro/a…

Mi è venuto in mente il dialogo tra Gesù e Pietro sulle rive del lago di Tiberiade (cfr Gv 21,15-19): in quel momento l’itinerario educativo portato avanti dal Signore nei confronti dei suoi era a una svolta decisiva. Il ricordo, la nostalgia e anche la tristezza delle cose passate potevano paralizzare i suoi, o aprirli a un nuovo, sorprendete inizio. È allora che Gesù mi sembra operare un salto che consente di fatto a Pietro e agli altri di cominciare non soltanto “di nuovo” ma “in modo nuovo”.

Rivolgendosi a Simone, Gesù gli chiede: «Mi ami tu più di costoro?». Richiesta esorbitante non solo perché rivolta a chi aveva rinnegato il suo Signore, non solo per quel curioso «più di costoro», ma anche e specialmente perché Gesù usa il verbo agapào, che indica l’amore totale, esclusivo, incondizionato. Pietro non osa rispondere con lo stesso verso (forse lo avrebbe fatto prima di conoscere l’amara esperienza del fallimento!): risponde semplicemente e poveramente «Ti voglio bene», usando il verbo dell’amore amicale, philéo.

Nella seconda domanda Gesù insiste con la richiesta dell’amore totale; e Pietro insiste nella  seconda risposta con l’offerta del suo povero, umile amore.

Alla terza domanda e risposta non è Pietro che cambia il verbo: è Gesù. «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?»; e Pietro – sebbene «addolorato che la terza volta gli disse: Mi vuoi bene?» (che fosse cioè Gesù ad avere dovuto cambiare il verbo dell’amore) – gli risponde: «Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti voglio bene». Si potrebbe quasi dire che non è Pietro a convertirsi a Gesù, ma è Gesù che si “converte” a Pietro, si adatta al suo linguaggio e alle sue possibilità.

È questa “conversione di Dio” che mi colpisce profondamente: anche perché è a partire da essa che Gesù pronuncia l’imperativo nel quale sbocca tutto l’itinerario educativi con cui aveva formato il suo apostolo: «Seguimi!».

Il significato che colgo penso possa aiutare molto te e me: Gesù ha integrato il fallimento di Simone e, in fondo, il suo personale “fallimento educativo” perché ha molto amato: il suo amore è così totale da essere libero da ogni pretesa, da non imporre all’altro un’esigenza avvertita dall’altro come impossibile, da piegarsi sulla debolezza e povertà del suo discepolo per dargli nuovamente la speranza di amare, la fiducia di poter ancora date tutto, fino alla fine.

Che il Signore risorto, facendoci sperimentare questo suo amore totale, aiuti a donarlo agli altri e a riprendere il cammino educativo che ci ha affidato, senza soste, senza stanchezze.

+ Carlo Maria Card. Martini
Arcivescovo di Milano
Milano, 8 settembre 1988
Festa della Natività di Maria

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TU SEI PIETRO…


OLTRE LA VITA IL NULLA ? – Angelo Nocent

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1-papa-Giovanni-Paolo-II

Un decennio fa, tra un blog e un’altro che si sono succeduti, avevo dato vita ad una rubrica che è ancora attiva ma con alterne fortune: “LA CATTEDRA DEI SOFFERENTI“. Mi prefiggevo che del dolore, delle svariate sofferenze, fossero gli interessati stessi a parlare, ad eprimere il proprio punto di vista, a testimoniarne l’esperienza, non coloro che godono di pace interiore, buona salute e prosperità. Poi mi son reso conto che c’è una specie di pudore a parlarne, da parte di chi sta attraversando una malattia, è stato provato da un lutto, vive una separazione o assiste, impotente, a una involuzione di un figlio che tenta di risolve i suoi problemi esistenziali attraverso percorsi che finiscono per rivelarsi distruttivi e mortali. Ma ogni tanto, qualcuno, ben disposto, si trova

L’ispirazione iniziale mi era venuta proprio dal Card. Carlo Maria Martini, come spiegavo in questo post:

http://compagniadeiglobulirossi.org/blog/2009/11/prendere-esempio-dalla-cattedra-dei-non-credenti/

addolorata2Oggi, dopo aver ascoltato la voce di un prete che invitava a “portare avanti la complessità di questo tempo“, dove spesso le persone non chiedono profondi discorsi teologici, ambiziosi programmi pastorali decennali… ma semplicemente di essere ascoltate ed esprimono il bisogno di una carezza sull’anima ferita, (DARE AL DOLORE LE PAROLE CHE ESIGE: http://animadolente.wordpress.com/) mi sono reso conto di aver trascurato la rubrica che ora cerco di rianimare. Come? Attraverso le parole al Corriere della Sera  di un “padre” il cui corpo mortale ha trovato sepoltura ai piedi del Crocifisso del Duomo di Milano: sì, ancora lui, il cardinale arcivescovo CARLO MARIA MARTINI. Così prendo due piccioni con una fava: faccio bene agli altri facendo bene a me stesso, in cammino verso i sempre più ravvicinati destini eterni.

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ESISTE UN FUTURO ANCHE OLTRE LA VITA

«Prego molto il Signore e gli affido la mia vita, la mia morte e tutti quelli che vanno alla morte con poca fiducia nella potenza di Dio»

Crocifisso Duomo di Milano

Gentile Cardinale Martini, da sette anni soffro del morbo di Parkinson e da cinque di artrite reumatoide. Un anno fa mio marito è morto di cancro e con lui sono morta anch’io. Ho avuto due aborti spontanei e quindi non ho figli. Sono stata un’ infermiera e quindi so quello che mi aspetta. Prego Dio di farmi morire al più presto perché non voglio più vivere, non posso, non ne ho la forza né riesco a trovare un motivo per alzarmi la mattina. Ho 72 anni e non passa giorno che io non dubiti dell’ esistenza di Dio, ma mi sforzo di sperarci perché è l’ unica ragione che mi impedisce di togliermi la vita.Lucia Renghi, Città di Castello (Perugia)

Sono consapevole di tornare su un tema da lei già affrontato (Corriere, 24 aprile 2011), ovvero la umana paura della morte. Dopo la morte non si è. Come prima della nascita. Ma lei dice che si è in un altro modo. Rivedremo coloro che abbiamo amato? Presumo sia una metafora. E mi limito a chiedere: rivedrà coloro che ha amato anche chi non ci aveva creduto? 
Silvia Delaj, Milano

La fede è un dono? Mi piacerebbe avere la sua stessa certezza dell’ esistenza di Dio; ma purtroppo non è così. Speravo di avvertire la presenza di Dio quanto meno nel momento del trapasso di mio padre, che nei momenti finali ha voluto accanto a sé l’ icona di Suora Maria della Passione. È spirato tra le mie braccia, eppure in quel momento e in presenza della morte ho sentito in lui solo un gran senso di solitudine. Un vuoto, un nulla che, a distanza di ben quattro anni, sento ancora vivissimo dentro me. Daniele Perna Cercola, Napoli

C.M.MARTINI_intervista RAI maggio2008Ho messo insieme queste tre lettere perché mi pare che esse trattino di argomenti affini, pur nella diversità delle situazioni, come la paura della morte e insieme il desiderio di morire, che cosa ci aspetta dopo la morte e la nostra debole fede.

Anzitutto la morte: essa è dolorosa per tutti. Ma succede talora che chi è oberato pesantemente da grandi dolori giunga a dire: come potrò continuare a soffrire così? Meglio andarmene! Non è un peccato pensarla a questo modo, ma dobbiamo stare attenti che esso non porti a un vero suicidio.

Manifestare semplicemente la nostra domanda a Dio perché ci porti presto con sé è una domanda lecita. Dobbiamo però abituarci a tener conto di tutto ciò che è positivo.

Nel caso di Lucia Renghi, intravvedo molte cose positive. Ma lei stessa deve rendersene conto. Il marito è morto di cancro e certamente lei lo ha servito con molto amore. Lo stesso ha fatto nel suo lungo servizio di infermiera professionale. Pur nel disagio causato dal Parkinson, è possibile partecipare a piccole iniziative di carità, che allargano il cuore e lo riempiono di speranza.

Per quanto riguarda, al contrario, la paura della morte, di cui ci parla Silvia Delaj, non vi sono rimedi facili, non basta per esempio imporre a se stessi di non pensarvi. Io non conosco metodo migliore che quello di concentrarsi nel presente. Si può così attualizzare anche il modo con cui Cristo ha sconfitto la morte, offrendosi tutto a Dio Padre. Pur morendo di una morte ingiusta e crudele, disse: «Nelle tue mani, Padre, affido il mio Spirito». Questo è il segreto!

1-SAM_5897Se non ci affidiamo a Dio come bambini, lasciando a Lui di provvedere al nostro avvenire, non arriveremo mai a fare quel gesto di totale abbandono di sé, che costituisce la sostanza della fede.

Certamente rivedremo coloro che abbiamo amato. Anche quelli che hanno amato pur non avendo conosciuto Gesù. Come dice Dante «la bontà divina ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei». Ma donde viene una fede così docile?

Madonna addoloroaraDaniele Perna risponde: essa è un dono di Dio. Ma ciò non significa che non siamo chiamati a fare tutto quanto è nelle nostre possibilità per ricevere questo dono. Che poi l’ assenza prolungata di una persona a noi molto cara generi solitudine, è qualcosa che va compreso e rispettato.

Non è difficile nella nostra vita lo sperimentare momenti drammatici in occasione della morte di uno stretto parente o di un nostro carissimo amico. Non serve guardare il defunto per cogliere in lui qualche segno di risurrezione. La sua anima, come dice il pensiero indù «ha lasciato il suo corpo» ed è inutile trovare in esso segni di una vita nuova.

Quanto poi all’ osservazione di Daniele, che dice «Mi piacerebbe avere la sua stessa certezza dell’ esistenza di Dio; ma purtroppo non è così», debbo dire che sento molto la fragilità di questa mia fede e il pericolo di perderla. Per questo, prego molto il Signore e gli affido la mia vita, la mia morte e tutti quelli che vanno alla morte con poca fiducia nella potenza di Dio.

Carlo Maria Martini - 31 agosto 2012

Carlo Maria Martini - Bara_martini Carlo Maria Martini - La tomba in duomo 3


«VIVERE I GIORNI FERIALI CON IL CUORE DELLA FESTA» – C.M. Martini

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Carlo Maria Martini - Credo la vita eterna

L’angoscia della morte e l’audacia della speranza

Una riflessione con Carlo Maria Martini sull’ultimo articolo del Credo

di Robert Cheaib

ROMA, sabato, 20 ottobre 2012 (ZENIT.org).

Carlo Maria Martini 14- «Vi sono molti modi di rifiutare il Padre e il cammino verso di lui. Il più comune (e il più nascosto nell’inconscio) è di rifiutare la morte».

È lapidario Carlo Maria Martini quando parla del senso dell’atteggiamento umano nei confronti della morte. Essa non è un fatto da comprendere soltanto come un’evenienza fisiologica. La morte fa parte del destino umano (e in questo senso ha ragione Heidegger a definire l’uomo come Essere-per-la-morte come Sein zum Tode). Il giorno della morte è – nelle parole del cardinale che riprende sant’Ignazio d’Antiochia nella sua lettera ai romani – il giorno della nostra nascita.

Tutti muoiono e la morte è il regno del silenzio, ma ci sono morti che squarciano il velo e parlano della vita, la vita vera. Così la morte di Gesù parla della sua figliolanza. Il centurione vedendolo morire così esclamò: «questi era veramente il figlio di Dio». Anche la morte di Martini, accostata con un graduale ritiro nel silenzio della preghiera e della preparazione all’incontro con il Signore, è profetica… parla…

Oltre alla sua vita, il Cardinale ha parlato anche della morte, della sua realtà, dei suoi contorni. Le edizioni San Paolo offrono una raccolta di interventi del Cardinal Carlo Maria Martini che gravitano intorno all’ultimo articolo del Credo: Credo la vita eterna. Le meditazioni e le riflessioni rispecchiano l’inconfondibile stile del Cardinale che sa intrecciare felicemente intuizione esistenziale, ermeneutica biblica e afflato ignanziano.

Martini traccia un cammino di riflessione intorno ai temi del morire, della morte di Cristo e della sua risurrezione, dei novissimi, e della «piccola sorella» tra le virtù teologali (come chiama Charles Péguy la speranza). Tale cammino, intorno a temi spesso taciuti, sviati, temuti e repressi come la morte, l’avvicinarsi della fine punta a vederne i contorni umani legittimi di angoscia, sgomento, paura, senso di smarrimento, per aprire un varco di discernimento dall’interno della vita umana e dall’annuncio della speranza insito nella parola di Dio.

Gesù e la morte: un faccia a faccia

La riflessione del Cardinale prende le mosse dalla paura della morte, che è un istinto ineliminabile, «un fatto essenziale, brutto, in qualche modo ineliminabile; ed è garanzia di vivere, perché mobilita gli istinti di conservazione, di resistenza, di aggressività vitale. Non si può combattere la paura della morte con il ragionamento, perché scatta da sé, è invincibile» (18-19).

Non possiamo fare finta che questo sentimento non esista. E non possiamo, con un preteso spiritualismo, dimenticarci di essere incarnati. Gesù stesso attraversò la paura e l’angoscia della morte: «La mia anima è triste fino alla morte» (Cf. Mc 14,34). Una paura così forte da essere mortale.

Vivere è anche imparare ad aprirsi al mistero, al quale la morte fa come da sentinella. Vivere è anche imparare a morire. La morte, infatti, è «l’ultimo atto di tanti drammi di cui l’uomo è protagonista: malattia, vecchiaia, soprattutto se accompagnata da acciacchi e solitudine, stanchezza, esaurimenti nervosi, perdita del gusto del lavoro, degli incontri, della natura; […] Sono tutte forme di anticipazione della morte e per questo le viviamo con paura, con orrore, vorremmo che non fossero» (19).

Gesù nell'orto degli uliviGesù riconosce di essere turbato e supera la paura attraversandola con un’insistente preghiera. (cf. Lc 22,43). La lettera agli Ebrei afferma riguardo a Cristo: «Egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (Eb 5,7). Gesù non fu esaudito con la liberazione dalla morte, ma con il conforto che gli ha permesso di superare la paura (25). «Gesù supera il timore della morte a caro prezzo; lo supera affrontandolo, pregando e lasciandosi confortare da Dio; lo supera uscendone perfezionato» (26).

La vicenda di Gesù ci conferma sul senso e sulla correlazione tra vita e morte. Un senso che risplende e s’invera con i bagliori del mattino di Pasqua. La correlazione è formulata da Giuliano Vigini, curatore del volume, così: «Se nascere vuol dire essere chiamati a un destino eterno, morire è andare incontro al compimento di tale destino».

Sorella morte

È dall’esperienza di Gesù che i santi e i martiri attingono le forze per affrontare la paura della morte. Abbiamo tantissimi esempi di un simile coraggio nella storia del cristianesimo nell’affrontare «sorella morte» (san Francesco) e nel «morire di non morire» (Teresa d’Avila). Ma già dai tempi apostolici abbiamo il superamento della paura della morte attestato dagli apostoli e dai primi martiri e che vediamo stigmatizzato nelle parole di Paolo: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno».

Un esempio lampante del pathos dell’amore che sconfigge la paura dalla morte è quello di sant’Ignazio d’Antiochia che considera la morte come momento della sua nascita: «È meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra […]. È vicino il momento della mia nascita. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Vi scrivo che desidero morire. Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c’è più in me fiamma alcuna per la materia, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: Vieni al Padre». Il superamento della paura dalla morte è per il Poverello d’Assisi «la letizia perfetta».

Contemplando la vita dei santi ci si accorge però di un elemento fondamentale: il superamento della paura della morte non è uno sforzo umano, non è neppure un’acquisizione intellettuale o comportamentale, è frutto di un incontro con il Dio vivo, con il Cristo morto e risorto. Il superamento della paura della morte non è un’invenzione umana ma frutto di un’invocazione divina. Per riceverla non bisogna solo pensare, ma pregare con il cuore. «Passione di Cristo, confortami. Non permettere che mi separi da te. Dal maligno nemico difendimi. Nell’ora della morte chiamami e comandami di venire a te per lodarti con i santi in eterno».

La vita celata nella morte

Ma come abbiamo già anticipato all’inizio, la morte non è solo un fatto, essa è l’epilogo di un cammino e la porta d’accesso a un incontro, è l’ultimo e radicale atto di fede nell’amore di Dio e il definitivo affidamento alle/nelle braccia del Padre di Gesù Cristo. Intesa così, fa meno meraviglia l’attesa vissuta dai santi di quel giorno. Ognuno muore da solo e per se stesso, ma fare questo cammino nella fede, lo rende – nella difficoltà e innaturalità del morire che permane! – un incamminarsi verso un incontro, l’Incontro per eccellenza.

Così – per redimere la definizione Heideggeriana – l’uomo non è un essere per la morte ma un essere per l’Incontro, per l’unione con Dio. La morte è la via di passaggio verso la speranza della risurrezione che a sua volta è «la morte e risurrezione delle speranze umane» che dimostra «la miopia di tutto ciò che è meno di Dio e al tempo stesso fonda il valore di ogni gesto di amore autentico» (68). Vivere questa coscienza della morte diventa un impegno nuziale di attesa, di speranza e di preparazione del cuore. È – per usare un’espressione di Martini – «vivere i giorni feriali con il cuore della festa».

La festa che attraversa la morte superandola si fonda nell’evento pasquale di morte e risurrezione di Gesù che vive il morire come «consegna» dello Spirito nelle mani del Padre e accoglie la risurrezione come «ri-consegna» da parte del Padre dello stesso Spirito (cf. Rm 1,4). Così, il senso che l’evento pasquale dà alla morte non è teorico, non è un pensierino pio… Gesù non offre risposte ma si offre come presenza, come custodia, come grembo del dolore che raccoglie, feconda e fa germogliare la speranza celata dal buio dell’ignoto e irrigata dalle lacrime amare dell’assenza. Gesù «ci invita a entrare nel cuore del Figlio che si abbandona al Padre e a sentirci così dentro il mistero stesso della Trinità» (90).

Allora Martini tira le conclusioni sull’intreccio della storia e dell’eternità: «l’eternità, la vita nuova e definitiva è già entrata, con la morte e risurrezione di Gesù, nella mia esperienza. È da me vissuta, qui e adesso, nell’indistruttibilità dei gesti che compio: di amore, fedeltà, perdono, amicizia, onestà, libertà responsabile» (122).

Raddrizzando le categorie del morire, rilegge i «Novissimi» al di là degli abusi terroristici impiantati erroneamente nel nostro immaginario religioso. Dell’inferno ad esempio dice: «L’inferno, in quanto possibilità radicale, evidenzia la dignità suprema della vita umana, il valore sommo della vigilanza e la tragicità del male; proprio per questo e in tutto questo evidenzia l’amore del Dio che, creandoci senza di noi, non ci salverà senza di noi. Egli, infatti, che ci ha amato quando ancora eravamo peccatori, rimarrà separato da noi solo se noi ci ostineremo nell’essere separati da lui» (135).

Nel ricordo dell’amato Cardinale, la lettura di queste pagine assumono – oltre alla carica inimitabile di semplice profondità alla quale ci aveva abituato Martini – un carattere emotivo, testimoniale e prospettico.

  • Emotivo perché sentiamo ancora l’eco della parola di evangelizzatore instancabile, e cosa sarebbe il vangelo se non fosse soprattutto annuncio dell’Amore più forte della morte?!
  • Testimoniale perché traduce in parole udibili la fede silente con la quale il Cardinale visse il suo transito.
  • Prospettico perché lo sguardo che attraversa la morte è invitato a non soffermarsi sulla «malinconia del tempo inesorabilmente passato […] figlia dell’incredulità e madre della disperazione» ma a vivere il presente e la storia con lo sguardo rivolto a Cristo, nostra speranza e nostra vita.

Carlo-Maria-Martini - La salma in Duomo  Carlo Maria Martini - La tomba in duomo 2Carlo Maria Martini benedice con l'Evangelario

Anima Christi

È possibile acquistare il libro seguendo questo link:
http://www.amazon.it/Credo-vita-eterna-Carlo-Martini/dp/8821576779/ref=sr_1_1?ie=UTF8&qid=1350737842&sr=8-1&tag=zenilmonvisda-21 (20 Ottobre 2012) © Innovative Media Inc.


GLOBULI ROSSI – LE CARTOLINE DELLO SPIRITO – Angelo Nocent

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Cuore - Spirito Santo

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E’ un’abitudine che mi ha suggerito un sacerdote prima di andare in Paradiso.
L’altro giorno, invece, durante la Confessione, un vecchio sacerdote mi ha detto:

“Quando fai il segno della Croce, ricordati che stai benedicendo il mondo!”


BUON GIORNO, SPIRITO SANTO,
UN SEGNO DI CROCE,
E TUTTO S’ILLUMINA D’IMMENSO!

passaparolaPASSAPAROLA !

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280.”Per mantenere vivo l’ardore missionario occorre una decisa fiducia nello Spirito Santo, perché Egli «viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8,26). Ma tale fiducia generosa deve alimentarsi e perciò dobbiamo invocarlo costantemente. Egli può guarirci da tutto ciò che ci debilita nell’impegno missionario.

È vero che questa fiducia nell’invisibile può procurarci una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove non sappiamo che cosa incontreremo. Io stesso l’ho sperimentato tante volte. Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera.

Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!”

Vieni, vieni, Spirito d’amore,
ad insegnar le cose di Dio.
Vieni, vieni, Spirito di pace
a suggerir le cose che Lui ha detto a noi.

Globuli Rossi companyModelli

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 10489829_10202689623901565_2010224847402748742_nGiardino fiorito

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ROSSO PORPORA – Angelo Nocent

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ROSSO PORPORA

Frugando nell’archivio residuo di un vecchio blog andato al macero, ho rinvenuto  un’aspirazione del cuore forse un po’ troppo ambiziosa, per non dire presuntuosa.

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 GLOBULI ROSSI  PICCOLI CARDINALI

Parafrasando Papa Benedetto, avevo scritto:

“Entrando a far parte del Collegio dei Cardinali, [della COMPAGNIA DEI GLOBULI ROSSI] il Signore vi chiede e vi affida il servizio dell’amore:

  • amore per Dio,
  • amore per la sua Chiesa,
  • amore per i fratelli con una dedizione massima ed incondizionata, usque ad sanguinis effusionem, come recita la formula per l’imposizione della berretta e come mostra il colore rosso degli abiti che indossate”. (Benedetto XVI) 

Angelo Nocent - CresimaOggi sono qui a sottoscrivere nuovamente il mandato ricevuto nel giorno della CRESIMA

Probabilmente allora ero stato suggestionato dal vescovo  IGNAZIO DI ANTIOCHIA,  che al martirio aspirava senza mezzi termini:

ignazio di antiochiaD’un’altra cosa poi si raccomandava, scrivendo particolarmente ai cristiani di Roma: di non intervenire in suo favore e di non tentare neppure di salvarlo dal martirio.

“Io guadagnerei un tanto – scriveva – se fossi in faccia alle belve, che mi aspettano. Spero di trovarle ben disposte. Le accarezzerei, anzi, perché mi divorassero d’un tratto, e non facessero come a certuni, che han timore di toccarli: se manifestassero queste intenzioni, io le forzerei “.

E a chi s’illudeva di poterlo liberare, implorava: ” Voi non perdete nulla, ed io perdo Iddio, se riesco a salvarmi. Mai più mi capiterà una simile ventura per riunirmi a Lui. Lasciatemi dunque immolare, ora che l’altare è pronto! Uniti tutti nel coro della carità, cantate: Dio s’è degnato di mandare dall’Oriente in Occidente il Vescovo di Siria! “.

Infine prorompeva in una di quelle immagini che sono rimaste famose nella storia dei Martiri: ” Lasciatemi essere il nutrimento delle belve, dalle quali mi sarà dato di godere Dio. Io sono frumento di Dio. Bisogna che sia macinato dai denti delle belve, affinché sia trovato puro pane di Cristo “.

E, giunto a Roma, nell’anno 107, il Vescovo di Antiochia fu veramente  “macinatodalle innocenti belve del Circo, per le quali il Martire trovò espressioni di una insolita tenerezza e poesia: “Accarezzatele, scriveva infatti, affinché siano la mia tomba e non faccian restare nulla del mio corpo, e i miei funerali non siano a carico di nessuno “.


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Ricordate?

Scrupoli e malinconia,  fuori da casa mia !

 

In realtà, mi aveva colpito questa immagine di SAN FILIPPO NERI, il prete che aveva radunato attorno a sé un gruppo di ragazzi di strada, avvicinandoli alle celebrazioni liturgiche e facendoli divertire, cantando e giocando senza distinzioni tra maschi e femmine, in quello che sarebbe, in seguito, divenuto l’Oratorio e che sarebbe anche diventato cardinale.

Spesso si dimentica che nello stesso periodo, si occupò degli infermi, abbandonati a sé stessi o affidati a pochi volontari, negli ospedali di San Giovanni e Santo Spirito nonché dei poveri nella confraternita della Carità, istituita da papa Clemente VII e nell’oratorio del Divino Amore.

E poi, essendosi fatto sempre più intenso il suo apostolato nei confronti dei bisognosi, tanti dei quali costretti a dormire in rifugi di fortuna, decise su consiglio di Persiano Rosa, suo padre spirituale, di fondare la cosiddetta Confraternita della Trinità, creata appunto per accogliere e curare viandanti, pellegrini e povera gente dei borghi romani.

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Nella sua biografia c’è  un aneddoto significativo che fa bene al cuore:

“Secondo la tradizione nel 1544, e precisamente nel giorno della Pentecoste, in preghiera presso le catacombe si San Sebastiano, Filippo Neri fu preda di uno straordinario avvenimento (secondo il santo un’effusione di Spirito Santo) che gli causò una dilatazione del cuore e delle costole, evento scientificamente attestato dai medici dopo la sua morte. Molti testimonieranno di aver visto spesso il cuore tremargli nel petto e che, a contatto con esso, si avvertiva uno strano calore”.

Gufo nella notte 2628409535

Nel nostro piccolo, cosa possiamo fare ?

Ognuno chieda allo Spirito Santo la dilatazione del cuore e della fantasia. E domandi anche “occhi di gufo” per vedere nel buio della notte.

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Catacombe

Catacombe di San Sebastiano

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Giovanni Paolo II e il Card. Bergoglio

Nocent AngeloAngelo Nocent - CresimaOgni tanto, indossatevi qualcosa di rosso per evocare IL MARTIRIO DEL CROCIFISSO. E poi, la strage degli innocenti, santo Stefano, protomartire, Pietro e Paolo, Ignazio… e, via via, i martiri di tutti i tempi, fino ai giorni nostri…

Se non al  martirio di sangue, a quello del cuore, siamo tutti chiamati.

Aspirantato FBF - 8 Dic. 1953 b

Il Cresimato a 11 anni

Aspirantato FBF - 8 Dic. 1953 c

Nello studio del mio “Don” (Don Claudio Privileggi)

Ogni tanto fa bene ritornare sui propri passi. Ognuno ha le sue vecchie foto da riprendere in mano per ringraziare…

Cuore nuovo

  

Salmo 84

         (83) Nostalgia di Dio
2Quanto mi è cara la tua casa,

Dio dell’universo!
3Mi consumano nostalgia e desiderio
del tempio del Signore.
Mi avvicino al Dio vivente,
cuore e sensi gridano di gioia.

4- 5All’ombra dei tuoi altari,
Signore onnipotente,
anche il passero trova un rifugio
e la rondine un nido
dove porre i suoi piccoli.
Mio re, mio Dio,
felice chi sta nella tua casa:
potrà lodarti senza fine.

6Felici quelli che hanno in te la loro forza:
camminano decisi verso Sion.
7Quando passano per la valle deserta
la rendono un giardino
benedetto dalle prime piogge.
8Camminano, e cresce il loro vigore
finché giungono a Dio, in Sion.
9Signore, Dio dell’universo,
accogli la mia preghiera,
ascolta, Dio di Giacobbe.
10Tu sei il nostro difensore
proteggi il re che hai consacrato.
11Meglio per me un giorno nella tua casa
che mille altrove;
meglio restare sulla soglia del tuo tempio
che abitare con chi ti odia.

12Un sole e uno scudo tu sei,
Signore, mio Dio.
Tu concedi misericordia, onore e gioia
a chi cammina nella tua volontà.
13Beato l’uomo che ha fiducia in te,
Signore, Dio dell’universo!Cuore

 

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GIOVANI IN CATTEDRA (01) – COME GUARDARE LA DONNA – TEOLOGIA DEL CORPO

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Santa Maria dagl'occhi azzurri di Cielo


SAN BONAVENTURA: UNA VITA CRISTOCENTRICA

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San Bonaventura da  Bagnoregio

PREGHIERE DI SAN BONAVENTURA

O dolcissimo Signore Gesù,ferisci anche me col soavissimo e salutare tuo amore, affinché l’anima mia si riposi nella serena e apostolica tua santissima carità. La mia anima ti brami e si purifichi nell’attesa del Paradiso, e non sospiri che di separarsi dal corpo per essere sempre con te.

Tu sei o Signore,il gaudio degli Angeli, la forza dei Santi, il nostro soavissimo pane quotidiano. Il mio cuore abbia sempre fame e sete di te, o Gesù, e si delizi nelle dolcezze del tuo amore. Te sempre cerchi come fonte della vita e della sapienza, come torrente della gioia che riempie la casa di Dio.

Tu solo sii la mia gloria! A Te io pensi, di Te parli, tutto operi a Tuo onore, a Te pervenga con umiltà e pace, con trasporto e diletto, con perseveranza e fervore, affinché in Te, mia fiducia, mia gioia, mia pace, io sempre viva con la mente e con il cuore. Amen

Lignum Vitae - taddeo_gaddi_-_last_supper__tree_of_life_and_four_miracle_scenesLignum vitae

Trafiggi, o dolcissimo Gesù, le profondità della mia anima con la soavissima e salutare ferita del tuo amore, infondendovi un’autentica, serena, apostolica carità, di modo che arda e si sciolga solo e sempre per amore e desiderio di Te;

Te desideri e quasi muoia nelle tue dimore, non cerchi altro che dissolversi ed essere con Te. Concedi che la mia anima sia assetata di Te, del pane degli angeli, della refezione dei santi, del nostro pane quotidiano, soprasostanziale, che ha in se ogni dolcezza; che il mio cuore abbia sempre sete e si nutra di Te, dove gli angeli desiderano fissare lo sguardo, e i reconditi della mia anima siano ricolmati dalla dolcezza della tua percezione;

sia il mio cuore sempre assetato di Te, fonte della vita, fonte della sapienza e della scienza, fonte della eterna luce, rigoglio della casa di Dio. Te sempre ambisca, Te cerchi, Te trovi, a Te protenda, a Te sopraggiunga, Te mediti, di Te parli, e tutto operi a lode e gloria del tuo nome, con umiltà e discrezione, con amore e consolazione, con facilità e affetto, con perseveranza sino alla fine;

perché Tu solo sia sempre la mia speranza, la mia fiducia, la mia ricchezza, il mio diletto, la mia allegrezza, la mia gioia, il mio riposo e la mia tranquillità, la mia pace, la mia soavità, la mia dolcezza, il mio cibo, la mia refezione, il mio rifugio, il mio aiuto, la mia sapienza, la mia parte di eredità, il mio possesso, il mio tesoro, a cui siano sempre fissati, saldi ed inamovibili, la mai anima e il mio cuore. Amen.

Papa-Benedetto-XVI

Lignum Vitae - taddeo_gaddi_-_last_supper__tree_of_life_and_four_miracle_scenes

San Bonaventura -François,_Claude_(dit_Frère_Luc)“Raccogliamo l’eredità di questo santo Dottore della Chiesa, che ci ricorda il senso della nostra vita con le seguenti parole:

Sulla terra… possiamo contemplare l’immensità divina mediante il ragionamento e l’ammirazione; nella patria celeste, invece, mediante la visione, quando saremo fatti simili a Dio, e mediante l’estasi … entreremo nel gaudio di Dio

(La conoscenza di Cristo, q. 6, conclusione, in Opere di San Bonaventura. Opuscoli Teologici /1, Roma 1993, p. 187). – (Benedetto XVI)

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Il Papa: “San Bonaventura fu messaggero di speranza. Una bella immagine della speranza la troviamo in una delle sue prediche di Avvento, dove paragona il movimento della speranza al volo dell’uccello, che dispiega le ali nel modo più ampio possibile, e per muoverle impiega tutte le sue forze. Rende, in un certo senso, tutto se stesso movimento per andare in alto e volare. Sperare è volare, dice san Bonaventura” (Discorso del Santo Padre dell’incontro con la cittadinanza di Bagnoregio, 6 settembre 2009)

San Bonaventura - dal Lignum Vitae

Il pensiero di Maria non parta dalla tua mente.
Il nome di Maria non abbandoni il tuo labbro.
L’Amore di Maria non si spenga nel tuo cuore.
Seguendo Maria non ti perderai.
Appoggiandoti a Maria non cadrai.
Sperando in Maria non temerai.
Ascoltando Maria non sbaglierai.
Vivendo con Maria ti salverai.
Ecco la nona beatitudine:
Beati quelli che si sono consacrati a Maria:
i loro nomi sono scritti nel libro della vita.

O Madre mia e Signora, i miei peccati mi rendono indegno di avvicinarmi a Te; anzi, io da Te non dovrei attendere che castighi. Ma quando pure mi avessi a discacciare e fin anco a punire, no, non dubiterò mai che Tu mi ami e mi vuoi salvare. Ripongo però in te tutta la mia confidenza, e se avrò la sorte di implorare sempre la tua misericordia, nutro ferma speranza di venirti a lodare in cielo con quella innumerevole moltitudine dei Tuoi divoti già salvi per la Tua potente intercessione.


LA VERITA’ MI FA MALE, LO SO – Angelo Nocent

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granada finestra sul mondo

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Vi fu un uomo portoghese di nome Giovanni Ciudad Duarte che girava per Granada con la sporta e il bastone come un mendicante.Inizialmente al suo passaggio alcuni gridavano:

Loco! Loco!”

Al pazzo! Al pazzo! 

Ma un bel giorno la gente gli cambiò  il nome, infaatti, si era accorta che quel pazzo non solo DAVA ma SI DAVA, perché nei volti che incontrava vedeva Gesù e le persone vedevano Gesù in lui:

JUAN DE DIOS

GIOVANNI DI DIO

Quella volta, quandolo prendevano in giro,  aveva 45 anni e, proprio col DARSI, morì a 55.

1-San Giovanni di Dio - Celaia

San Giovanni di Dio  - Juan de Dios

Benedetto XVI nella sua prima enciclica DEUS CARITAS EST cita espressamente alcune figure somme della carità cristiana: Francesco d´Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de´ Paoli, Luisa di Marillac, Giuseppe B. Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione, Teresa di Calcutta.

Il Papa ne è convito: i santi «Rimangono modelli insigni di carità sociale per tutti gli uomini di buona volontà. I santi sono i veri portatori di luce all´interno della storia, perché sono uomini e donne di fede, di speranza e di amore» (40). Naturalmente, tra essi eccelle Maria, la donna che ama, serve, accoglie i discepoli di Gesù come suoi figli e continua dal cielo la sua opera di intercessione materna.

San-Giovanni-di-Dio-Basilica-granada San Giovanni di Dio - Urna

(Il testo è ricavato da GESU’ di Don Luigi Bandera – Il titolo è mio)


DUE SANTI FONDATORI: Ignazio di Loyola e Giovanni di Dio – Pittore Raúl Berzosa Fernández –

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  San Tommaso - Gesù risorto - Raúl Berzosa Fernández

CHI SCOPRE UN PITTORE

TROVA UN TESORO

Raúl Berzosa Fernández


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Nace en Málaga el 20 de abril de 1979. Su formación ha estado siempre relacionada con los Hermanos Maristas.

La pintura es el eje de su vida, comienza a los trece años a dibujar los primeros trazos en el mundo del comic, pero pronto se apunta a varios talleres hasta que ingresa en la facultad de Bellas Artes de Granada en 1999, un año después regresa a Málaga donde consigue la licenciatura de Historia del Arte y realiza el CAP (Certificado de Aptitud Pedagógica), todo por la Universidad malacitana.

Raúl Berzosa ha realizado numerosas pinturas de distintas temáticas: retratos, la figura humana, el mar, temas religiosos y cofrades… todo bajo un estilo realista en continua evolución. Dentro de su variedad temática hay una especial relación con la pintura cofrade, la primera pintura pública cofrade es la que sirvió para cartel del Rocío de Málaga en el 2000, a partir de aquí realizará auténticas obras de arte que servirán para aumentar el patrimonio de numerosas cofradías de toda España, destacando las obras realizada para el Sevilla (Cartel del Corpus y del Vía Crucis del Consejo de Hermandades y Cofradías de Sevilla en el 2009), la pintura de Coronación del Carmen de San Cayetano de Córdoba (2011) y el cartel de la Agrupación de Hermandades y Cofradías de Glorias de Málaga (2012).

Berzosa ha estado presente en distintas exposiciones colectivas a partir de 1996, destacando Barcelona y Manhattan (Nueva York) o la Feria Internacional de Arte Contemporáneo en Nimes (Francia).
En el 2011 recibe el premio Juventud Cofrade de Onda Azul y en el 2012 recibe el galardón “pintor del año 2011” concedido por la Asociación de escritores de Málaga.

Pero hay una temática que sobresale en la obra de Raúl Berzosa: La pintura Sacra, aquí trabaja los lienzos normalmente de gran formato y la pintura mural. Su primera obra de gran formato religiosa es “Cristo depuesto de la Cruz” del año 2005, obra situada en la Capilla del Cristo de la Puente y Virgen de la Paloma, en esta capilla también se encuentra su primera obra mural, la semicúpula del Cristo de la Puente del Cedrón (2007).

Posee obras en numerosas iglesias de España, destacando las obras en el Santuario del Valle con la decoración del Camarín de la Virgen de las Angustias de Sevilla encargado por la Duquesa de Alba (2008), la Iglesia del Santo Ángel en Sevilla (2010) o el Oratorio de la Hermandad de las Penas (2008 – ) y la Iglesia de San Felipe Neri en Málaga (2012).

Además posee obras en el extranjero como la Anunciación de gran formato realizada para la Catedral de Fargo en Dakota del Norte (EEUU, 2011) o las obras ejecutadas para la colección “Rostros de Cristo” en Francia.

San Giovanni di Dio - Raúl Berzosa

1-San Giovanni di Dio - Raúl BerzosaAparición de la Virgen a S. Juan de Dios: Representa el momento en el que se le apareció la Virgen en el monasterio de Guadalupe y puso en sus brazos al Niño Jesús.
Entregándole unos pañales, le encomendó: «Juan, vísteme al Niño para que aprendas a vestir a los pobres». Conmovido por la visión, se formó en lo preciso para afrontar su obra y comenzó su acción en Granada, por indicación del P. Ávila que le alentó en su quehacer.

En este caso el centro de la composición lo ocupa el Niño Jesús con telas blancas, estas se acentúan con el color oscuro de S. Juan de Dios y los colores de la Virgen María, Ella se agacha para hacer entrega del Niño al Santo mientras se encuentra sobre unas nubes que le sirven de soporte.

Al fondo parte del interior del Monasterio de Santa María de Guadalupe, en la provincia de Cáceres.

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Pinturas realizadas para la nave central de la Iglesia de S. Cayetano en Córdoba.

- Aparición de la Virgen a S. Ignacio de Loyola: La escena se sitúa en Manresa en 1522, allí el Santo se retiraba para orar a una cueva así como a escribir un libro con “Ejercicios Espirituales”. Allí se le apareció la Virgen María junto al Niño Jesús.

Se ha utilizado la composición propia de las pinturas ya realizadas en la Iglesia, el santo, en este caso S. Ignacio de mayor tamaño y la Virgen María junto al Niño Jesús de menor tamaño.

S. Ignacio aparece en el momento que estaba escribiendo los ejercicios y tras ver un resplandor gira su cabeza, con ropas pobres y junto a un crucificado, propio de la iconografía del santo.

La escena se sitúa en el interior de la cueva, tras S. Ignacio, la Virgen María y el Niño Jesús.

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VISITA LAMPO: MORIMONDO – TRIVOLZIO – CERTOSA DI PAVIA – Angelo Nocent

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Ieri, 23 Luglio 2014, sul registro dei visitatori ho scritto: “Grazie per avermi chiamato. Mi fido, confido…”.

09-SAM_6371Venivo da Milano con dei signori giapponesi amici, destinazione Certosa di Pavia. Una visita lampo decisa in giornata. Ho fiancheggiato per un lungo tratto di strada il Naviglio grande e attraversato tanti paesi che conoscevo solo di nome.

Milano_naviglio_grande_Gaggiano_04Ad Abbiate Grasso la tentazione era di andar a cercare l’ospedale dove il Dr. Erminio Pampuri, medico condotto di Morimondo, ricoverava e andava a trovare i suoi pazienti. Ed è proprio lì che la figlia del Direttore lo aveva adocchiato e, tramite un’amica comune, si era azzardata a formulargli una proposta di matrimonio. Ma non c’era il tempo.

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Sul percorso, una indicazione turistica: “ABBAZIA DI MORIMONDO”. Cedo alla tentazione e si va a fare una sosta, anche perché l’avevo vista solo nelle foto.

Visitiamo di corsa l’Abbazia che risale al 1182.

19-SAM_6381All’ingresso della chiesa, sulla sinistra, c’è una statua di San Riccardo Pampuri e di fianco un cestino pieno di richieste della gente che chiede grazie.

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Un giro veloce nella penombra del tempio, fotografo quadri, statue, affreschi…e mi soffermo sugli scanni lignei del coro dove i monaci cistercensi cantano le lodi e celebrano la Divina Eucaristia.

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Fotografo lo schienale del primo: San Benedetto intarsiato nel legno con la prima pagina della Reghe la: “Obsculta, o fili, praecepta magistri, et inclina aurem cordis tui Ascolta, o figlio, gl’insegnamenti del maestro, e piega l’orecchio del tuo cuore…”.

Sono quelle parole lette e rilette chissà quante volte e rimaste impresse nella mente del Dr. Pampuri che lo hanno messo alla ricerca ostinata di una Regola anche per la sua vita che, per la sua gracile salute, difficilmente avrebbe potuto essere quella austera di benedettino cistercense.

1-Scan10045In fondo alla chiesa, prima dell’uscita, c’è un tavolo con l’esposizione di libri di spiritualità monastica, solo che non ho il tempo nemmeno per leggere i titoli. Ma l’occhio mi cade su un volumetto di 48 paginette: “LA VITA FRATERNA E’ IL VANGELO”. Si ratta di trascrizioni inedite da conversazioni col Card. Carlo Maria Martini. E’ l’unica copia. Verso nella cassetta le monetine e ringrazio San Riccardo con la coda dell’occhio per il regalo che mi ha fatto trovare. Poche pagine ma tante belle cose che proverò a condividere, come questa: “Noi dobbiamo semplicemente andare dietro a Lui e fare quello che Lui ci dice di fare, cercando di farlo volentieri”.

1-1-Pictures1123-SAM_6385Esco e fotografo la formella sulla porta che lo ritrae con san Bernardo e si riparte in direzione di Pavia. Ad un certo punto una segnaletica: TRIVOLZIO a 3 Km. Chiedo ed ottengo dagli ospiti di deviare e fare una brevissima sosta. Per un motivo preciso: un signore dal Venezuela, via Facebook, mi aveva chiesto una reliquia di San Riccardo Pampuri. Non sapendo dove andare a prenderla, gli ho spedito quella che avevo in casa. Ma, dopo un anno, non gli è ancora arrivata. Lui però non ha mai desistito ed anche in questi giorni è tornato a fare ricerche all’ufficio postale che non è in grado di compiere una verifica senza il numero di riferimento della raccomandata. Che non c’è, perché la lettera è stata spedita semplicemente come prioritaria.
Gli ho promesso che, alla prossima occasione, gliene avrei procurata un’altra ma non potevo immaginare che si sarebbe presentata proprio il giorno successivo, ore 17,14, come da campanile.

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Era da qualche anno che non tornavo. L’ultima volta mi aveva accompagnato la mia Elena, probabilmente per una chiamata misteriosa, di cui non saprò mai.

San Riccardo Pampuri - Trivolziio

Questa volta a mezzo raccomandata, oggi ho spedito all’amico l’immaginetta con la reliquia tanto desiderata. E che San Riccardo interceda con noi per le sue e nostre richieste al Signore.

In quanto a me, nell’orecchio continua a risuonarmi questo avverbio: VOLENTIERI, VOLENTIERI, VOLENTIERI…

«Mi puoi dare una mano?» «Volentieri» .

1-IL CONVENTO-OSPEDALE DI S3

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Alla Certosa, solo una visita fugace alla chiesa perché siamo arrivati poco prima che chiudessero. Sarà per un’altra volta.65-SAM_6430

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Certosa di Pavia - Lodovico Sforza e Beatrice d'Este

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CON TUTTA UMILTA’– Angelo Nocent

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Papa Francesco - andate...

Udite, uditeIn questi giorni ci sono foto del Papa che stanno facendo il giro del mondo.

Udite udite !
Il Papa al self service, in fila col suo vassoio, alla mensa dei dipendenti e al tavolo con loro, come uno di loro…

Papa Francesco alla mensa


IL CARDINALE CARLO MARIA MARTINIPer non usare parole mie, a commento riporto uno stralcio delle meditazioni del  Cardinal Martini che fu profeta umile e curioso. Tratto da  LE CONFESSIONI DI PAOLO, aiutano a comprendere la vera UMILTA’.


Aggiungi un posto a tavola 03Sarebbe troppo bello poter dire: AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA che viene Papa Francesco! In realtà, in quella mensa siamo tutti rappresentati. 

Papa: pranza con dipendenti vaticani nella mensa "aziendale"

«Essere con»

Con le parole introduttive del discorso Paolo abbraccia in sintesi il suo ministero di circa tre anni ad Efeso: «Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo» (v. 18). E lo abbraccia con una formula che rimanda immediatamente il gioco agli uditori. Non ha bisogno di descrivere prima di tutto se stesso; si riferisce all’esperienza che gli altri hanno fatto.

Papa: pranza con dipendenti vaticani nella mensa "aziendale" Fin da questa battuta introduttiva, comprendiamo che Paolo si sente uno con la sua comunità, si sente conosciuto, familiare. Non deve raccontare niente perché: «Voi sapete, mi avete visto, sono stato con voi ». Il suo ministero si può riassumere con: «è uno che è stato fra la gente », uno che la gente conosce, di cui sa tutto, e può renderne testimonianza.

È un ministero fondato sull’« essere con», sul comunicare, sul convivere. Paolo sa benissimo che guardavano a lui come ad un esempio e sente perfettamente la responsabilità non soltanto delle parole che ha detto, ma di ciò che ha fatto. Non: «voi ricordate ciò che vi ho detto in questi anni… », ma: «voi sapete come mi sono comportato ». La gente ha guardato a ciò che lui era, a come viveva, prima ancora di giudicare se le sue parole erano interessanti, belle, vere, pratiche.
E lui si è comportato servendo.

Papa: pranza con dipendenti vaticani nella mensa "aziendale"

«Con tutta umiltà»

Anche qui vogliamo capire come mai tra le mille altre qualifiche del suo ministero Paolo sceglie questa, sottolineandola come fondamentale atteggiamento pastorale.

Il termine greco con cui si esprime può essere inteso « in ogni genere di umiliazione », con riferimento non all’atteggiamento ma alle situazioni. Cosi va inteso nel Magnificat là dove Maria dice: «Il Signore ha guardato all’umiltà della sua serva ». Indica l’insignificanza, l’abiezione, la piccolezza, il non contare nulla, e non la virtù dell’umiltà.

Ma mentre nel Magnificat il vocabolo greco è esattamente «tapéinosis », qui è « tapeinofrosune »: sentimento di umiltà. Paolo qui si riferisce all’atteggiamento di umiltà con cui ha servito il Signore nell’attività pastorale. Umiltà è una parola che ripetiamo mille volte, ma di cui non è sempre facile cogliere tutte le implicazioni che ha per l’Apostolo.

Papa: pranza con dipendenti vaticani nella mensa "aziendale"

In senso generale si potrebbe dire che l’umiltà è l’opposto di ciò che è detto nel Magnificat: «Dio ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore ». I superbi sono quelli che credono di essere qualcuno, che hanno di sé un concetto così alto da fame quasi una ragione di vita, per cui gli altri devono piegarsi al loro servizio, e neppure vanno ringraziati perché fanno ciò che è dovuto. È l’atteggiamento che Paolo stigmatizza altre volte nelle sue lettere.

Ad esempio scrivendo ai Romani: «Non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi» (Rm 12, 16). L’atteggiamento umile è quello di chi non si gonfia e non si illude.
È importante riflettere su questo atteggiamento di non-sapere: esso è utile sempre, ma è indispensabile soprattutto nel rapporto con Dio. Infatti « noi non sappiamo neanche pregare, non sappiamo neanche cosa chiedere» (cf. Rm 8, 26).

Papa: pranza con dipendenti vaticani nella mensa "aziendale" Spesso non riusciamo a pregare bene perché incominciamo con la presunzione di saper pregare, mentre dovremmo partire sempre confessando: «Signore, non so pregare; so di non sapere pregare ». Già questa è preghiera, perché fa posto allo Spirito che dobbiamo chiedere.

Papa Francesco - Lavanda dei piedi

Papa Francesco l’umiltà l’ha imparata nelle sue frequentazioni: la gente di ogni estrazione sociale, a cominciare dai poveri. E adesso non fa che continuare ad essere se stesso. Con nostra somma meraviglia.

Papa Francesco - Card. Broglio

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1-Angelo6



ROSANNA IN LUTTO – LA PRIMA A INBATTERSI NELLA COMPAGNIA – Angelo Nocent

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Desiderio d'infinito 6Quel giorno, ai miei occhi la strada si presentava così: una nebbia celestiale all’orizzonte e una fissazione nella testa: GLOBULI ROSSI…
Un’autostrada. Ma per andare dove?

Rosanna primo globulo rosso  nuova foto 2001it@yahooPoi sul blog appena inaugurato e complicato da manovrare, spunta lei, come piovuta dal cielo e scrive:

MI ASSOCIO CON TUTTO IL CUORE !!!!!

Vi ricorderò nelle mie e nostre preghiere davanti al Santissimo nella nostra cappella!!!

Il Signore vi benedica per tutto il bene che fate!

Con affetto in Cristo.

Rosanna Scannabue Mission

 

1-Spirito Santo vento

Rosanna Pirulli 6Mentre lei, suor Rosannna, non sapeva di essere la prima aderente, io mi ritrovavo gioiosamente in comunione :

In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». (Mt 18, 15-20)

Quel poco di cronaca da raccontare è riportata qui:

http://grcompany.wordpress.com/2010/03/02/globuli-rossi-company-il-primo-aderente-e-donna/

Oggi il suo annuncio pasquale:

Il mio caro papà è andato in paradiso.

Rosanna Pirulli

Rosanna Pirulli 41-Rosanna Pirulli1-Globuli Rossi-001Alla suorina di Salsomaggiore (PR) 1991,  cresciuta in sapienza, età e grazia, le più sentite condoglianze mie personali e di chi si sente un piccolo GLOBULO ROSSO in COMUNIONE.

Aggiungo queste parole ispirate, che in un recente doloroso personale frangente mi sono state di grande conforto:

Elena Maya Akisada NocentSanta Maria dei Globuli Rossi-001


I PICCOLI FRATI E LE PICCOLE SUORE DI GESU’ E MARIA

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Fra Volantino 04Frà Volantino con un Vescovo Ovest Italia ( per implantatio Comunità )Fra Volantino 02Fra VolantinoAntonio Stagliano vescovoGrande partecipazione di fedeli al XXXIII pellegrinaggio diocesano al Santuario di Maria SS. Scala del Paradiso a Noto, svoltosi venerdì 30 maggio, a conclusione del mese mariano. Come ogni anno, all’inizio della cosiddetta “Via Sacra”, ha preso il via la preghiera del Santo Rosario, guidata dal nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, insieme con i presbiteri, i diaconi, le religiose, il Seminario e i fedeli laici della Diocesi. Nell’omelia pronunziata da Mons. Vescovo durante la solenne Eucaristia sulla spianata del Santuario, è stato messo in luce il mistero grande del bel titolo riservato alla Santa Vergine, Patrona e Regina della Chiesa di Noto: “Scala del Paradiso”; Mons. Staglianò ha evidenziato come in Maria il nostro sguardo si allarga, per contemplare il destino di felicità che è la comunione eterna con Dio, nostra beatitudine e pace.

La Vergine Maria è il modello del cammino di ogni credente, ha ancora rimarcato il Vescovo, riflesso della bellezza divina, grembo fecondo della Chiesa, che genera figli a Dio. “La carne di Maria è la carne di Cristo - ha concluso il Vescovo – e in Maria noi tutti siamo corpo di Cristo, corpo della Chiesa edificato nella carità”.

Durante la celebrazione, il Vescovo ha inoltre rinnovato l’atto di affidamento della Diocesi alla Madonna, cui hanno fatto seguito due momenti importanti: la firma di due decreti relativi allo statuto del Consiglio parrocchiale e di quello diocesano e l’approvazione “ad experimentum” (per tre anni) dello statuto dell’associazione “Piccoli frati e piccole suore di Gesù e Maria”, composta da giovani, uomini e donne, che vivendo la povertà evangelica, si impegnano nella predicazione itinerante, per portare i fratelli lontani alla pratica dei sacramenti.

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LA CODA DI PAGLIA

LA FRAGILITA’ E’ IL NOSTRO DESTINO? – Eugenio Borgna

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Di Eugenio Borgna

La fragilità, negli slogan mondani dominanti, è l’immagine della debolezza inutile e antiquata, immatura e malata, inconsistente e destituita di senso; invece, nella fragilità, si nascondono valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, che sono

nella vita e che consentono di immedesimarci con più facilità e con più passione della interiorità, negli stati d’animo e nelle emozioni,nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi.

La fragilità fa parte della vita

La fragilità fa parte della vita e, delle forme di umana fragilità, non può non occuparsi la psichiatria: così immersa nelle sue proprie fragilità e nelle fragilità dei pazienti con cui si confronta; divorata dal rischio e dalla tentazione di non considerare la fragilità come umana esperienza dotata di senso, ma come espressione più, o meno, evidente di malattia che non possa se non essere curata.

Come definire la fragilità nella sua radice fenomenologica? Fragile è una cosa (una situazione) che facilmente si rompe, e fragile è un equilibrio psichico (un equilibrio emozionale) che facilmente si frantuma, ma fragile è anche una cosa (una situazione) che non può se non essere fragile: questa essendo la sua ragione d’essere, e questo essendo il suo destino. La linea della fragilità è una linea oscillante e zigzagante che lambisce, e unisce, aree tematiche diverse: talora, almeno apparentemente, le une lontane dalle altre.

Sono fragili, e si rompono così facilmente, non solo quelle che sono le nostre emozioni e le nostre ragioni di vita: le nostre speranze e le nostre inquietudini, le nostre tristezze e i nostri slanci del cuore; ma sono fragili, e si dissolvono facilmente, anche le nostre parole: le parole con cui vorremmo aiutare chi sta male, o le parole che desidereremmo dagli altri quando siamo noi a stare male.

Come sono fragili, e anzi tendono a divenire (oggi) sempre più fragili, le relazioni interpersonali che nascono e muoiono, che si accendono e si spengono dolorosamente, e talora crudelmente, bruciate in esperienze di vita che vivono del presente, del presente onnipotente (si potrebbe dire), disancorato dal passato, dal passato della storia personale e della riconoscenza, e chiuso al divenire, alle attese e alle speranze, che scompaiono dagli orizzonti interiori della vita.

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Come non riconoscere (così) nell’area semantica e simbolica, espressiva ed esistenziale, della fragilità gli elementi costitutivi della condizione umana? Cosa sarebbe la “condition humaine” stralciata dalla fragilità e dalla sensibilità, dalla debolezza e dalla instabilità, dalla plasmabilità e dalla finitudine, e insieme dalla nostalgia e dall’ansia di un infinito anelato e mai raggiunto?

Ma come non ammettere che ci siano forme diverse di fragilità talora concordanti le une con le altre, e talora discordanti le une dalle altre, ma le une e le altre nondimeno sigillate da comuni connotazioni umane?

Come non distinguere allora “la fragilità” come grazia, come linea luminosa, della vita, che si costituisce come il nocciolo tematico di esistenze adolescenziali, e di esperienze fondamentali di ogni età della vita, senza escludere la presenza della malattia,dalla fragilità” come ombra, come notte oscura dell’anima, che incrina le relazioni umane, e le rende intermittenti e precarie, incapaci di tenuta emozionale, e di fedeltà: esperienza umana che resiste limpida e stellare al passare del tempo, e alla corrosione che il tempo rischia sempre di trascinare con sé.

Ci sono, così, due distinte aree, due distinte forme, di fragilità che non possono essere scambiate l’una con l’altra, e che indicano:

  • la prima

la fragilità come parola tematica di esistenze, sigillate magari dal dolore, ma immerse nella ricerca e nella nostalgia dell’altro;

  • la seconda

la fragilità come incapacità di vivere il tempo nella sua ininterrotta agostiniana circolarità di passato, presente e futuro.

Ovviamente, non di questa seconda possibile connotazione semantica intendo parlare ma della prima che racchiude in sé infiniti orizzonti di senso: non sempre conosciuti, e non sempre va lutati nella loro significazione umana ed etica.

Come sono fragili le emozioni

Ci sono emozioni forti ed emozioni deboli, virtù forti e virtù deboli, e sono fragili alcune delle emozioni più significative. La loro fragilità le rende palpitanti di vita, e dotate di emblematica pregnanza umana. Quali emozioni si posso no considerare fragili, e in cosa consiste la loro fragilità?

Sono fragili la tristezza e la timidezza, la speranza e la inquietudine, la gioia e il dolore dell’anima, l’amicizia e le lacrime, che sono intessute di fragilità, e che, se non fossero fragili, perderebbero immediatamente la loro significazione umana, e il loro fulgore emozionale. Le emozioni fragili si scheggiano, e si frantumano, facilmente: non resistono alla avanzata dei ghiacciai della noncuranza e della indifferenza, delle tecnologie trionfanti e degli idoli consumistici. Cosa diverrebbe la speranza, se non fosse nutrita di fragilità e di fluida friabilità? Non sarebbe se non una delle problematiche certezze che, nella loro impenetrabilità al dubbio e alla incertezza, desertificano la vita umana.

La malattia ci rende fragili

La malattia modifica il modo di vivere di ciascuno di noi: ci rende ancora più fragili di quello che non si sia quando non siamo malati. La malattia, quella fisica, porta alla luce della coscienza ogni nostra umana fragilità: quella ontologicamente presente in ogni ora e in ogni stagione della nostra vita, e quella che rinasce sulla scia di inattese esperienze interiori, ed esteriori.

Ciascuno di noi, certo, rivive la malattia, il suo essere malato, in modi diversi; ma, se si vuole essere di aiuto a chi, lambito dalla malattia, avverta in sé la presenza di una dolorosa condizione di fragilità, di indifesa rassegnazione alla malattia e alla angoscia della morte che ad essa si accompagna, è necessario ancora una volta ascoltare le parole inespresse del dolore e della solitudine, del silenzio e della fatica di vivere, che fanno parte di ogni umana esperienza di fragilità.

Sì, la fragilità vive in noi, e fa parte della con dizione umana, benché essa riemerga nelle sue epifanie più lancinanti quando scende in noi non la malattia fisica ma la malattia psichica, sigillata dalla presenza del dolore dell’anima: della follia se non si ha paura a chiamarla così. Non dimenticando mai che in essa dilagano una immensa fragilità, e, cosa ancora più facilmente ignorata, o negata, una stremata sensi bilità e una straziata nostalgia di accoglienza, e di amore.

Fragilità di GesùVAI A:/LA FRAGILITA’ DI GESU’/


GESù ABBRONZAMI – Angelo Nocent

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Quando ho   creato la “cartolina dello spirito” ero stato colto da una suggestione: il titolo di una giornalista che stava scrivedo in spiaggia, sotto l’ombrellone, aprofittando dei pochi giorni di ferie concessile dal suo editore.
Altre volte mi è capitato di proporre l’ELIOTERAPIA perché fin sa ragazzo, sono stato suggestionato da un predicatore diesercizi spirituale che ci suggeriva, per la nostra salute spirituale la CURA DEL SOLE, ossia stare in silenzio ai piedi del Tabernacolo (Gesù abbronzami ! Irrorami della tua Bellezza, rendimi luminoso di Te), suggerimento che ho accolto e sperimentato  ripetutamente. E ci credo ancora all’efficacia terapeutica del metodo.

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Poi, navigando, mi sono imbattuto nello stesso suggerimento, da parte di un altro sacerdote, segno che la ricetta fa bene a tutti,  non ha controindicazioni e non c’è bisogno di creme protettive per evitare scottature.

Termometro febbreLa febbre sì, quella è destinata a salire. Ma si tratta di quel Fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra e che ha un dolcissimo nome: amore-title

Tutto bello, poetico. Ma è paola vuota, astratta, se non si arriva, chiudendo gli occhi,  alla personalizzazione:


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CADONO A PROPOSITO LE PAROLE DI DON GIULIO: LASCIARSI ABBRONZARE

Quando ti metti al sole per abbronzarti, non devi chiedere al sole “ti prego, sole, abbronzami!”, così come non è necessario conoscere le leggi della scienza
del movimento dei pianeti e della velocità della luce.
Tu puoi essere affaccendato in mille cose senza pensare al sole, ma se ti sei messo davanti a lui, il sole ti abbronza.

La stessa cosa succede con Dio e con la fede. Non è affatto casa strana che in ogni cammino di fede si incontrino tappe di vuoto, di smarrimento per le quali ci troviamo ad essere indifferenti e staccati verso Dio, verso la Chiesa e verso i discorsi spirituali.
Così come non è strano che in materia di fede qualche dubbio possa assillarci:

  • ma Dio esiste davvero?
  • si è fatto uomo?
  • è presente nell’Eucarestia?

 

  • Non è strano e non è raro. Capita a tutti, anche a me prete.
  • Non importa quanti e quali studi uno abbia fatto di teologia.
  • Non è grave nutrire un dubbio. Grave è chiudersi e lasciarsi soffocare.
  • Ancor più grave è essere impermeabili e non lasciarsi interpellare.

Non confondiamo i due piani. Un conto è capire il sistema solare, altro è lasciare che il sole ogni giorni muova, scaldi e faccia vivere il nostro pianeta. Non serve sapere e capire il “come”.
Anche se non pensi mai al sole, lui ti permette di vivere ogni giorno.

Non puoi guardare dritto in faccia al sole, ma il sole ti permette di vedere ogni cosa. Così è con Dio.

In tutti i casi, comunque, seguire Gesù non è facile.
La proposta di Gesù è senza dubbio esigente.
Lui non fa sconti, non smussa gli angoli della sua teoria.

Però Dio ci lascia liberi, Dio ci vuole liberi.
Una fede che fosse in qualche modo obbligata non ha alcun valore.
Ed è per questo che lui, non dice nulla, ma in silenzio sta inchiodato, con le braccia allargate per accogliere tutti, anche quelli che se ne vanno, come il sole che se ne sta con i raggi spalancati per abbronzare chi è davanti a lui, anche se fa tutt’altro, se pensa a tutt’altro e non alza mai gli occhi al cielo.

C’è chi però il sole l’ha fatto brillare dentro di sé. Sono i Santi.
Pensiamo ai nostri patroni, ai santi più nostrani, quelli che non erano papi, vescovi, preti o suore, ma quelli che da laici hanno preso in mano la loro vita con la fatica di tutti a credere e a vivere.
Essere santi significa essere al meglio e dare il meglio dove sei, come sei, con chi sei, e con la vita che hai.
Essere santi non è fare cose straordinarie o eroiche ma è fare straordinariamente bene le cose di tutti i giorni.

Oggi nella mia città di Bergamo festeggiamo il patrono: Alessandro.
Sappiamo solo che era un soldato romano e che morì martire perché non obbedì al comando dell’imperatore di sacrificare agli idoli.

Fu un soldato, cioè fu un uomo del suo tempo, inserito nella vita concreta dell’impero romano. È la qualità, il valore, la vocazione dell’essere laico. Tra le diocesi della Lombardia, Bergamo è l’unica ad avere un Santo Patrono laico, cioè che non sia un vescovo o un prete.

Questo diventa per noi invito forte oggi a prendere sul serio la nostra vita quotidiana, le nostre scelte e le nostre decisioni, i nostri affetti e i nostri sentimenti.

Noi oggi siamo apparentemente più “cattolici” di Alessandro ma siamo meno “cristiani” di lui. È molto diverso “fare” il cattolico ed “essere” cristiano. Si tratta di prendere sul serio il Vangelo che è Gesù Cristo e di cercare di metterlo in pratica giorno per giorno. San Paolo dirà: “fare nostri i sentimenti di Cristo!”

La radice della coerenza cristiana sta nella cura dell’interiorità.
Solo una vera e profonda interiorità, sostenuta dal Vangelo, ci permetterà di prendere sul serio la nostra vita.
Prendi sul serio il Vangelo, per prendere sul serio la tua vita. Sfoglia ogni tanto una pagina di Vangelo per leggere la tua vita.

In questi giorni si nota subito chi è stato al sole dall’abbronzatura. Sempre, il sole lascia la sua traccia. Anche il sole della grazia. Impariamo anche ad abbronzarci interiormente: basta poco, basta ritagliare angoli di tempo per metterci davanti a lui.
Noi dobbiamo solo spogliarci. Al resto ci pensa lui, il sole.

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Sogni e visioni


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