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DON ANGELO CASATI CI/SI RACCONTA – Guardare in faccia la realtà


TU SOLO, GESU’– Silvia

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Fragilità di Gesù

Gesù non è soltanto un uomo: Egli è l’Uomo. Questo è il suo nome proprio, un nome unico. Essere un uomo è proprietà di tutti gli uomini ma essere l’Uomo è identità esclusiva del figlio di Maria. Ciò significa che quel Figlio racchiude in sè tutta la specie umana e che questa è tutta orientata verso di Lui, trova senso in Lui. L’Io divino dona personalità all’umanità del Salvatore e qualunque personalità umana si realizza solo nella comunione con quell’Uomo.
Gesù, Persona eterna che possiede il proprio Io in Dio, generato da una Persona eterna che si chiama Padre, fiorisce come uomo nel grembo di una Vergine che si chiama Maria, perché Ella è piena di grazia. Maria è una aspirazione permanente verso la redenzione del mondo, è un’invocazione permanente verso il Redentore. Senza conoscere la parte che Ella avrà nell’opera di redenzione dell’umanità, Ella vive l’intensità di questa aspirazione, consuma nella disponibilità totale questa comunione con il progetto divino, fino a coinvolgere, offrire pienamente il proprio corpo.

Per la pienezza di grazia che pervade la sua anima, il suo corpo verginale diviene preghiera vivente, la sua carne è semplice orazione davanti al Padre. E la Divina Presenza, desiderio e respiro del suo cuore, prende corpo dal suo corpo, diviene carne nella sua carne: il Cristo nascerà, secondo la carne, da quel corpo fatto preghiera, dalla preghiera vivente che è la carne di quella Donna.

Sembra quasi naturale che dal corpo della Vergine, così pieno di Spirito Santo, fiorisca il vero corpo del nuovo Adamo e che la maternità della Vergine piena di grazia doni a tutta l’Umanità l’Uomo perfetto. E’ il capolavoro dello Spirito sulla materia, è la rivelazione della potenza e della semplicità di Dio dentro il creato, è la realizzazione dei frutti dell’alleanza, dell’intima comunione tra il Creatore e la creatura.

Nel video di Silvia, si coglie l’aspirazione della sua anima che è poi anche la nostra.

Carlo Maria Martini - Eucaristia 2

DE TE NUMQUAM SATIS

Sull’Eucaristia non si dirà mai abbastanza

 

UNA EUCARISTIA VIVENTE-card-agostino-vallini/


CON EDITH STEIN – Santa Teresa Benedetta della Croce NELLA NOTTE DEI SENSI E DELLO SPIRITO – Angelo Nocent

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Santa Teresa Benedetta dela Croce 03

Poche note che possono aiutare a comprendere certi paradossali momenti in cui,  persone di fede, cristianamente impegnate, si possono venire a trovare per i più disparati motivi e senza comprenderne le ragioni.

Santa Teresa Benedetta della Croce 04Edith Stein – La sua vita è una storia che si muove, con impressionante progressiva continuità, verso Dio e la passione di Cristo. Non è l’attività umana che ci può salvare, ma soltanto la passione di Cristo: partecipare ad essa, ecco la mia aspirazione“.

Dio ha creato le anime umane per se stesso.

Egli desidera riunirle a sé, nonché offrir loro la immensa pienezza e l’ineffabile beatitudine della propria vita divina ancora in questa vita.

Questo è il fine…

Ma la via per arrivare è stretta, erta e faticosa.I più restano per strada.

Pochi riescono a passare le tappe preliminari,e solo uno sparutissimo numero raggiunge il traguardo finale.

  • Colpa dei pericoli della strada;
  • Pericoli originati dal mondo,
  • dal perverso nemico,
  • dalla nostra natura,
  • ma ancora dall’ignoranza
  • e dalla deficienza di direzione appropriata.

Le anime non comprendono quel che accade loro; e difficilmente si trova qualcuno che sia in grado di aprire loro gli occhi.

SanGiovanni-della-Croce-465x300

La Croce, la Notte oscura dei sensi e dello spirito…

Santa Teresa Benedetta si è lasciata “condurre per mano“, attraverso gli scritti, da San Giovanni della Croce, grande direttore di anime.

  • Come la luce fa risaltare le cose con le loro caratteristiche visibili, così la notte le inghiottisce, minacciando di inghiottire anche noi.
  • Ciò che s’immerge in essa non è annientato;
  • continua ad esistere ma indistinto,
  • invisibile e informe come la notte stessa,
  • oppure sotto forma di ombre,
  • di fantasmi e quindi gravido di minaccia.
  • Inoltre il nostro essere non è minacciato soltanto esteriormente dai pericoli in agguato nella notte, ma colpito anche interiormente dalla notte in se stessa.
  • Ci toglie l’uso dei sensi, 
  • ci blocca i movimenti,
  • ci paralizza le energie,
  • ci confina nella solitudine,
  • riducendo anche noi ad ombre e fantasmi vaganti nel buio.
  • E’ quasi un presagio di morte.

Tutto questo complesso quindi non induce soltanto sul settore vegetativo ma anche su quello psicologico e spirituale. “

Santa Benedetta Teresa della Croce 01

SIA FATTA LA TUA VOLONTA’ 
(Santa Teresa Benedetta della Croce)

Signore,
tu sei il Padre della sapienza
e sei mio Padre.

Lasciami seguire ciecamente
i tuoi sentieri
senza cercare di capire:
tu mi guiderai anche nel buio
per portarmi fino a te.

Signore, sia fatta la tua volontà:
sono pronta!

Tu sei il Signore del tempo
e anche questo momento
ti appartiene.
Realizza in me ciò che nella
tua Sapienza hai già previsto.

Se mi chiami
all’offerta del silenzio,
aiutami a rispondere.

Fa’ che chiuda gli occhi
su tutto ciò che sono perché
morta a me stessa
viva solo per te.

PER APPROFONDIRE

Santa Teresa Benedetta della Croce

Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, è una delle figure più straordinarie, affascinanti e complesse del ‘900, sia per la traccia indelebile che, nel solco di Edmund Husserl, ha lasciato nella storia della filosofia, sia per la sua straordinaria avventura umana e spirituale, che la portò dall’ateismo alla conversione radicale al cattolicesimo e alla scelta vocazionale del Carmelo, alla conclusione della sua esistenza nelle camere a gas di Auschwitz. Nel 1999 Giovanni Paolo II la dichiarò compatrona d’Europa, insieme alle sante Caterina da Siena e Brigida di Svezia. 

Di fronte a una testimone così autentica sono un po’ in difficoltà. Innanzitutto ti devo chiamare Edith o con il nome da carmelitana, Teresa Benedetta?

Rimanendo in ambito familiare preferisco Edith, anche perché Teresa Benedetta della Croce è un nome molto impegnativo che suggella un cammino di ricerca della verità che caratterizza tutta la mia vita.

Edith, dove sei nata? Da che famiglia provieni? Com’è stata la tua infanzia?

Santa Teresa Benedetta dela Croce 04Sono nata il 12 ottobre 1891 a Breslavia, città della Germania nella regione della Slesia, ultima di 11 figli di una famiglia della borghesia ebraica cittadina. Sono nata proprio il giorno di Yom Kippur, la festa ebraica più importante.

Mio papà, che aveva un’impresa per il commercio del legname, purtroppo morì quando avevo solo due anni; mia madre, rimasta sola, donna molto religiosa, caparbia e tenace, si rimboccò le maniche e riuscì ad accudire la famiglia e a portare avanti l’azienda. In questo suo spendersi in favore degli obblighi familiari e delle necessità dell’impresa, non trovò il tempo necessario per infondere a noi figli una fede vitale.

E così, fosti travolta dagli eventi familiari e da una prospettiva di vita in cui Dio era assente?
Non solo smarrii ogni riferimento a Dio, ma durante la mia adolescenza smisi, in piena coscienza e con libera scelta, di cercare ogni riferimento al trascendente, al divino, al mistero, quindi cessai di pregare.

E con la scuola come andò?

Bene, trascorsi i miei anni di gioventù studiando senza fatica; conseguii brillantemente la maturità, studiai assiduamente germanistica e storia, ma ciò che mi attirava di più era la filosofia. Per questo, nel 1913 mi recai a Göttingen, in Sassonia, per frequentare le lezioni universitarie di Husserl, il più illustre dei filosofi tedeschi del tempo, e ne rimasi letteralmente conquistata, conseguendo la laurea in filosofia con lui, divenni sua discepola e sua assistente alla cattedra di filosofia, entrai a far parte inoltre dell’«Associazione prussiana per il diritto femminile al voto».

Eri una femminista «ante litteram»!

Fatte le debite proporzioni sì, anche se l’insegnamento di Edmund Husserl aveva il sopravvento un po’ su tutto il mio modo di pensare.

Ma cos’è che aveva Husserl di tanto affascinante?

Edmund_Husserl_1900Egli attirava il pubblico illustrando un nuovo concetto di verità: l’esistenza del mondo – secondo Husserl – veniva percepita non solo in maniera kantiana, ovvero quello che noi chiamiamo percezione soggettiva, ma la sua filosofia portava a una visione molto concreta della vita e della storia, definita come un «ritorno all’oggettivismo». La conseguenza indiretta del suo modo di intendere l’esistenza umana fu che molti studenti ritornarono alla (o scoprirono la) fede cristiana.

Se non erro, gli anni in cui frequentavi i corsi di Husserl coincisero con l’inizio della Prima Guerra Mondiale.

Edith Stein a 36 anniÈ vero, in quel periodo dedicai molto tempo allo studio universitario, ma lo scoppio della guerra mi spinse a frequentare un corso di infermieristica e a prestare servizio in un ospedale militare. Nel 1916 seguii Husserl a Friburgo, dove conseguii la laurea con una tesi Sul problema dell’empatia, premiata summa cum laude. Ma di fronte al dramma della guerra, a una tragedia che toccava tanti uomini e donne, tante famiglie e tanti popoli, cominciai a leggere per trovare il senso di tutto quello che avveniva nel mio paese e sullo scenario europeo.

Ritornasti ancora a Breslavia nella tua città?

Edith Stein - Teresa Benedetta della CroceSì, e mi misi a scrivere saggi di discipline umanistiche e a leggere disordinatamente tutto quanto mi capitava sotto mano, che avesse in qualche modo attinenza con la filosofia. Lessi Kierkegaard, Newmann, Ignazio di Loyola… finché una sera in casa di amici trovai l’autobiografia di santa Teresa d’Avila, la lessi in una notte, quando richiusi il libro dissi a me stessa: «Questa è la verità». Qualche anno più tardi, il 1° gennaio 1922, ricevetti il battesimo e qualche settimana dopo lo comunicai a mia madre. Mi recai a Breslavia e non appena entrai in casa le dissi: «Mamma, mi sono convertita alla fede cattolica». Con queste parole mi accorsi che le davo un dispiacere, ma subito dopo ci abbracciammo piangendo lungamente.

Cosa provavi dopo questo passo, vivendo una condizione di vita praticamente nuova.

Mano a mano che Dio si era impossessato del mio cuore, sentivo crescere dentro di me una forza che mi spingeva a uscire da me stessa per dedicarmi sempre più agli altri. Un impegno questo che cercavo di svolgere pienamente in ambito accademico.

Intanto sulla Germania calava una luce sinistra: l’ideologia nazista che proprio in quegli anni prendeva il potere.

Hitler In CrowdAvvertii subito l’odio che i seguaci di Hitler nutrivano verso gli ebrei, e l’incessante ripetere che la razza ariana doveva liberarsi dai corpi estranei della società tedesca identificati soprattutto in coloro che erano di religione ebraica, mi fece capire più che mai che dovevo rendere testimonianza non solo della mia fede, ma anche del popolo a cui appartenevo.

Subisti conseguenze in questo senso?
Mi fu tolta la facoltà di insegnamento in tutte le scuole della Germania; dentro di me avevo preso la decisione di farmi carmelitana. Andai a casa a salutare i miei e ancora una volta l’incontro con mia mamma fu struggente e pieno di sofferenza, in quanto lei, donna dell’antico popolo d’Israele, vedeva la figlia sua entrare a far parte della Chiesa cattolica, una cosa che per quanto si sforzasse di capire non gli riusciva di intendere pienamente.

Come fu il tuo ingresso tra le carmelitane.

Santa Teresa Benedetta dela Croce 02Il 14 ottobre 1933 entrai nel carmelo di Colonia e il 14 aprile dell’anno successivo ci fu la cerimonia della mia vestizione. Da quel giorno la mia nuova vita fu segnata da un nuovo nome: suor Teresa Benedetta della Croce. Il 21 aprile del 1935 presi i voti temporanei. Nel settembre del 1936 mia madre morì e avvertii chiaramente che l’avevo al mio fianco come fedele assistente per giungere alla meta, il cui traguardo lei aveva già superato. Il 21 aprile 1938 feci la mia professione perpetua con voti solenni; per l’occasione feci stampare sull’immaginetta distribuita ai presenti le parole di san Giovanni della Croce: «La mia unica professione d’ora in poi sarà l’amore».

Un programma di vita impegnativo di fronte all’odio contro gli ebrei che divampava in Germania e in gran parte d’Europa, alimentato dalla propaganda nazista.

Sì! Effettivamente i nazisti fecero di tutto per annientare il popolo di Israele, bruciarono sinagoghe, rinchiusero gli ebrei nei ghetti e sparsero terrore fra la mia gente. Per questo i superiori decisero che non potevo più stare in Germania: la notte di capodanno del 1938 fui portata nel monastero delle carmelitane di Echt, in Olanda. Lì non si respirava la tensione che c’era in Germania, ma quando l’Olanda venne invasa dalle truppe naziste si ripresentò il volto truce e demoniaco della svastica. Presi così coscienza che dovevo compiere fino in fondo la volontà di Dio con una «Scientia crucis» (la scienza della croce) che aveva caratterizzato il mio nome dal momento dell’entrata nel Carmelo. Dal profondo del cuore pronunciavo incessantemente: «Ave, Crux, spes unica» (ti saluto, croce, nostra unica speranza).

A Echt ti raggiunse tua sorella Rosa che, seguendo le tue orme, si era convertita al Cattolicesimo ed era diventata Carmelitana.

Sì! Ma fummo scovate dai nazisti, i quali irruppero il 2 agosto 1942 nel nostro monastero e ci avviarono al campo di raccolta di Westerbork, da dove il 7 agosto fummo messe sul treno insieme a migliaia di altri deportati destinati alle camere a gas di Auschwitz.

auschwitz 021

E ad Auschwitz fosti inghiottita dall’olocausto che si compiva sul popolo d’Israele.

Giunta ad  mi prodigai per tutte le persone del mio popolo che erano in preda alla disperazione e allo sconforto. Mi occupai soprattutto delle donne, consolandole, cercando di calmarle e avendo cura dei più piccoli.

 
Il 9 di agosto suor Teresa Benedetta della Croce, insieme a sua sorella Rosa e a molti altri ebrei, venne avviata alle camere a gas del campo di sterminio, dove trovò la morte, una sorte toccata a sei milioni di ebrei e che noi oggi ricordiamo col termine Shoah.

Ebrea per nascita, cristiana per scelta, dopo un lungo cammino di ricerca, elevandosi alle più alte vette della spiritualità delle due religioni che tanto avevano inciso nella sua esistenza, è diventata esempio affascinante e luminoso per quanti cercano la verità con amore tenace e coraggioso. Il 1° maggio 1987 Giovanni Paolo II nel duomo di Colonia, nella cerimonia liturgica di beatificazione dichiarò che era: «Una figlia d’Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede e amore al Signore crocifisso Gesù Cristo, quale cattolica, e al suo popolo, quale figlia d’Israele”.

Don Mario Bandera – Direttore Missio Novara

Giovanni Paolo II 2

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II PER LA BEATIFICAZIONE
da leggere

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/1987/documents/hf_jp-ii_hom_19870501_messa-stadio-koln_it.html




Santa Teresa Benedetta della Croce 3


CHIARA: PANE PER I NOSTRI DENTI – Angelo Nocent

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Chiara nel fil di Zeffirelli

“Chiara… piccola umile GRANDISSIMA pianticella del Signore, come la chiamava Francesco, serena e lieta nella sua lunghissima paralisi e nella povertà, perché ricca della pace e della gioia di Dio”, così ha scritto Lorenza, qualche giorno fa in facebook.

(https://www.facebook.com/francescana.secolare?fref=ts

I miei commenti:

  • «Questa luce si teneva chiusa nel nascondimento della vita claustrale, e fuori irradiava bagliori luminosi;
  • si raccoglieva in un angusto monastero, e fuori si spandeva quanto è vasto il mondo;
  • spezzando duramente nell’angusta solitudine della sua cella l’alabastro del suo corpo, riempiva degli aromi della sua santità l’intero edificio della Chiesa».

(da Bolla di Canonizzazione, 1255)

Santa Chiara d' AssisiE ancora:

L’oggetto della sua contemplazione era il Gesù povero della mangiatoia, mentre il Gesù sofferente e umiliato della Croce era lo specchio in cui si specchiava ogni giorno e, ancora oggi, invita ciascuna di noi a fare lo stesso. 

Pur restando chiusa per 42 anni non perse il contatto col mondo esterno; il chiostro le limitava il corpo ma non l’anima;

le sue parole correvano leggere al di là delle mura, il profumo delle sue virtù e della sua santa vita si diffondeva nella Chiesa e nel mondo intero.

L’11 agosto del 1253 compì il suo beato transito sussurrando alla sua anima: “Va’ sicura perché hai buona scorta nel tuo viaggio…, e Benedetto sei tu Signore che mi hai creata…”.

Dopo due anni venne proclamata Santa.

Le biografie non si contano ed ognuno ha modo di spaziare in rete. A me premeva solo di creare il contatto, far scattare la scintilla. Dietro a Chiara e Francesco non ci sono solo conventi e clausure. I “Francescani laici” sono una miriade. Col nome di “Fra Antonio”, lo è stato anche San Riccardo Pampuri prima di entrare nell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, ed è rimasto “francescano” nel cuore fino alla morte.

Nella vigna del Signore ci sono varie mansioni e i santi ci aiutano a trovare il coraggio per svolgere al meglio la nostra.

Chiara e Francesco

Lorenza oggi ha pubblicato questo breve filmato.

Io sotto vi ho scritto:”Quando vedo questa scena o leggo questa pagina…, puntualmente piango“.  E’ una fragilità del cuore.

Chiara e Francesco 2

Chiara, le tue mani,
le tenere mani sudate,
tremanti…

* * *

Com’è bella Assisi sotto la luna!

“Le rossignol…” – cantava una voce,
in provenzale.

Chiara dal balcone ascoltò tutta la canzone. 
Sapeva che quella voce calda era di Francesco.

Egli tacque per un po’, poi intonò un nuovo canto
e questa volta Chiara lo capì: parlava d’amore,
diceva che l’amore è un fuoco.

Ma il canto fu interrotto da alcune voci che gridarono:
Francesco! Francesco! A chi fai la serenata?

- Alla mia donna! rispose Francesco agli amici.
- E chi è la tua donna?
- Madonna povertà.

La voce si allontanò fino a spegnersi nella notte dolcissima.

Chiara rimase al balcone. Le sue sorelle dormivano.
Poi si sdraiò sul letto ma il sonno non venne.
Con chiarezza sapeva che da quella notte
qualcosa era mutato in lei…

Pregare 2

Sulla pagina di Maria Grazia, una mia ex collega di lavoro che sta preparandosi alla consacrazione laicale, oggi trovo scritto:

O amabile Santa Chiara,
che della tua vita hai fatto una lode al Signore,
intercedi per le nostre famiglie,
la fratellanza, l’amore, il rispetto.
Intercedi, perché il Signore
faccia di noi uno strumento della Sua pace!

Gioia vera

PER PROVAR A CAPIRE LA GIOIA VERA 

OLTRE LA GRATA

santa agnese

santa chiara d'assisi 6

Santa Chiara d' Assisi 3

Santa Chiara d' Assisi (2)

Sants Chiara - l'urna

1-Chiara d'Assisi

  • Le lodi che francesco a dedicato al Signore

    Tu es sanctus dominus deus. Tu es deus deorum, qui facis mirabilia.
  • Tu es quietas, tu es gaudium. Tu es mansuetudo.
  • Tu es protector, tu es custos et defensor,
  • Pius et misericors et salvator.
  • Tu sei santo mio Dio e mio Signore.
    Tu Dio di tutti gli dei sei colui che compie prodigi.
    Tu sei quieta pace e gaudio,
    Tu sei la dolcezza, il protettore, il custode, il difensore,
    Ttu sei amorevole e misericordioso
    Tu sei il salvatore.

santa chiara d'assisi 5


ASSUNTA NEI CIELI E FRA NOI SULLA TERRA- Angelo Nocent

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Maria Assunta In Cielo

La liturgia odierna mostra alla nostra contemplazione il mistero di Maria assunta al cielo in anima e corpo. Parlando di questo punto fermo della nostra fede, il Concilio Vaticano II ci ha ricordato:

concilio-vaticano secondoLa madre di Gesù, come in cielo, in cui è già glorificata nel corpo e nell’anima, costituisce l’immagine e l’inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’età futura, così sulla terra brilla ora innanzi al pellegrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore” (LG 68).


Sicura speranza e consolazione.

Gussago - Assunzione-di-M.V.Concedici o Madre, di sentirci consolati e pieni di speranza per il fatto che tu sei già con Dio nell’interezza della tua persona; e quello che LUI ha già realizzato in in te desidera realizzarlo anche in ognuno di noi.

Possiamo sentirci consolati e pieni di speranza per il fatto che Tu, Maria partecipi già in modo pieno alla pasqua del tuo Figlio Gesù, che è vittoria sul peccato e sulla morte; e la stessa piena partecipazione Gesù desidera poterla donare anche a noi.

Possiamo sentirci consolati e pieni di speranza per il fatto che lo Spirito Santo ha già santificato te completamente, nella tua anima e nel tuo corpo; e quello stesso Spirito Santo opera anche in noi, se siamo docili a Lui, per trasformare anche noi a immagine e somiglianza di Gesù risorto.

  • Assunta_in_CieloMaria, tu non sei fantasia di poeti, di artisti, né di un romanzo teologico.
  • Tu sei donna reale,
  • Vergine e Madre,
  • figlia della terra prima di essere regina del cielo,
  • soggetta alla condizione umana, prima di essere regina degli angeli
  • pronta a dividere gioie e dolori della maternità come ogni madre umana,
  • vivente di fede  come ogni fedele,
  • sensibile come ogni creatura ai misteri più profondi della vita e della morte.
  • Madre di ogni nascita,
  • chiarore che annuncia l’alba evangelica,
  • sii al nostro fianco fino al tramonto di ogni nostra esistenza, come lo fosti sotto la croce.
  • Ti percepiamo come un’ombra e un soffio, ma ci basta per continuare a vivere e per morire.
  • Il resto è affidato alla tenerezza delle tue mani e alla dolcezza del tuo volto, più che nelle pupille, impresso nelle pieghe dell’anima.

sant'AntonioS. Antonio di Padova, lo aveva compreso già otto secoli fa. nel suo Sermone su Maria assunta in cielo, ci ha lasciato una preghiera

Ti preghiamo, o nostra Signora, nobile Madre di Dio, esaltata al di sopra dei cori degli angeli,

  • di riempire il vaso del nostro cuore con la grazia celeste;
  • di farci splendere dell’oro della sapienza;
  • di sostenerci con la potenza della tua intercessione;
  • di ornarci con le pietre preziose delle tue virtù;
  • di effondere su di noi, o oliva benedetta, l’olio della tua misericordia, con il quale coprire la moltitudine dei nostri peccati, ed essere così trovati degni di venir innalzati alle altezze della gloria celeste e vivere felici in eterno con i beati del cielo.


Ce lo conceda Gesù Cristo, tuo Figlio, che oggi ti ha esaltata al di sopra dei cori degli angeli, ti ha incoronata con il diadema del regno, e ti ha posta sul trono dell’eterno splendore.

A lui sia onore e gloria per i secoli eterni. Amen.”

2013

/ASSUNZIONE DI MARIA 2013/

Assunta in cielo 02

ASSUNTA IN CIELO ? IL DOGMA DICE PROPRIO COSI?


Pio XII 2Per comprendere il commento che segue, del biblista Padre Fernando Armellini, riporto il testo della solenne definizione dogmatica:

«Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo».

http://www.lachiesa.it/COMMENTOcalendario/omelie/pages/Detailed/32253.html

 

Assunta nei Cieli


GLI SPOSI – LA VITA – LA GIOIA – L’AMORE…– Don Bruno Maggioni

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Viva gli sposi

Don Bruno Maggioni 01

Fede-nuziale-nozze-sposi-diamanti

1-battesimo

Don Bruno Maggioni 02

«Buongiorno. Sono una persona normale, vede? Niente di strano, un prete normalissimo. Normale. Normalissimo»

Ma proprio mentre don Bruno Maggioni ripete come un karma il concetto, ti accorgi che di normale – nel senso triste e noioso del termine – quest’uomo di 57 anni per fortuna non ha nulla. Gli occhi sorridono, le parole si rincorrono velocemente con gioia, i movimenti delle mani sono ipnotizzanti e l’energia che galleggia nell’aria, avvolgendoti, è speciale.

D’altronde, proprio normale – sempre nel senso triste e noioso del termine – non è nemmeno ciò che fa don Bruno, parroco della Chiesa del Sacro Cuore. Alla fine della celebrazione dei matrimoni accende un vecchio mangianastri («Me l’hanno regalato vent’anni fa i coscritti del ’56. È una classe di ferro: ci siamo io, Miguel Bosè, Gianna Nannini e Moana Pozzi…») appoggiato in un angolo dell’altare e mette a palla «Mamma mia» dei Ricchi e Poveri («Mi piace perché è fuori moda»), cantando e ballando che in confronto Raffaella Carrà e il suo Tuca Tuca era roba da mummie. E la platea, ops, i fedeli lo seguono scatenati.


LA FRAGILITA’ DI GESU’– Angelo Casati

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mantegna_testa_cristo_correggio

Gesù – mantegna_testa_cristo_correggio

 

Don Angelo Casati 

Don Angelo Casati - 7-angelo-casatiAlle orecchie dei devoti, dei troppo devoti, può sembrare pericoloso o addirittura dissacrante parlare di una “fragilità” di Gesù. Quasi fosse attentato devastante alla sua divinità. Ma saremmo falsamente devoti al mistero che abita Gesù se, allontanando sdegnosamente da lui ogni ombra di fragilità, finissimo per cancellarne ogni ombra di vera umanità. E dovremo forse chiamare ombra la fragilità di Gesù? O non appartiene forse alla nostra natura l’essere fragili?

Ci sono fragilità nella nostra natura che vanno, se pur faticosamente, superate, ce ne sono altre che vanno semplicemente riconosciute. In sincerità. In sincerità verso Dio e verso se stessi.

Questo mio discutibile dire in modo rapsodico di Gesù e della sua fragilità va per accensioni che nascono dalle pagine dei vangeli. Il mio dire non ha dunque la pretesa delle sintesi teologiche, segue domande e provocazioni che si rincorrono perdutamente nelle pagine e poi nel cuore di un lettore comune del vangelo. Pensieri in attesa di altri pensieri.

Gesù nato da donna, scrive Paolo. Da un grembo di donna. Fragile quel cucciolo d’uomo, fragile il grembo, come tutti i grembi di donna. Sgusciò in un contesto di fragilità, una lampada fioca in mano a Giuseppe, forse l’altra mano – sto immaginando – a stringere tenera quella di Maria, a darle spinta di forza nel travaglio del parto. Fragile, inerme il bimbo, in bisogno di fasce, di fasce e di latte, quello della madre. Nato da donna. Donna che lo introdusse, mettendolo alla luce, nel territorio della fragilità.

SamaritanaLo introdusse così nella fragilità del corpo. Che lui accusava come tutti noi. Accusava stanchezza a tal punto da prendere sonno, e profondo, sulla barca nella traversata in piena notte del lago e nemmeno la bufera delle onde a svegliarlo. Accusava stanchezza e pure sete. Quel mezzogiorno in una delle sue traversate di regione sentì morso di sete, seduto stanco a un pozzo di Samaria chiese da bere a una donna in cerca di pozzi. Come tutti noi non risparmiato dalla fame, lo annotano gli evangeli: era mattino di inizio aprile, il giorno prima era entrato a dorso di puledro in Gerusalemme, quel mattino mentre usciva da Betania ebbe fame, ma il fico cui erano andati i suoi occhi aveva bellezza di forme ma vuoto di frutti. Ci rimase male.

A volte poi non gli reggevano proprio le forze fisiche, se ne accorsero quel giorno, poco fuori il pretorio, quando costrinsero un uomo di Cirene a portare dietro lui la sua croce.
Direi, approfondendo, come tutti noi fragile nel territorio dei sentimenti.

Non era roccia immobile, nè quercia con fronde impassibili a urli di bufere. Non tetragono come quelli che sbandierano indifferenza agli assalti della vita, pagò lungo i suoi giorni debiti di fragilità, come succede a ciascuno di noi.

A volte a scuoterlo, ad amareggiarlo sino a farlo impetuosamente dolorosamente sbottare senza quasi più contenersi, era la nostra avvilente ottusità: “O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi, fino a quando dovrò sopportarvi?”.

Certo non si preoccupava di trattenere se stesso in sequestro assoluto dei sentimenti, quel sequestro che in taluni uomini di spirito sembra a volte, o spesso, sfiorare l’impassibilità. Non preoccupato di guardarsi dall’accensione dello sdegno, né di guardarsi, se è debolezza, dall’accensione improvvisa dei sogni. E, se cedere ad accensioni rimane nella mente di qualcuno sintomo di fragilità, Gesù proprio non mise in atto nessun esercizio per sfuggirla.

La sua predicazione senza diplomazie, soprattutto verso le autorità religiose, conobbe i toni aspri e ruvidi, quasi impietosi, senza nascondimenti e senza contenimento, con l’esito di opposizioni altrettanto dure, violente, segnali per lui di una morte annunciata. Accadde anche che qualche volta i discepoli stessi lo invitassero a moderare i toni. Ma lui resistente a ogni invito che suonasse cedimento a calcoli umani. Gli interessava Dio, gli interessava la difesa a tutto campo della dignità di noi umani. Schiettezza senza moderazione a prova di morte.

Gesù -cecco-del-caravaggio-la-cacciata-dei-mercanti-dal-tempio

Lo consumava, senza moderazioni di sorta, zelo per la casa di Dio , per il vero volto di Dio e dell’uomo. E tutti noi a ricordare ciò che avvenne nell’avvicinarsi di quella pasqua. Un gesto voluto. Giovanni annota il particolare di Gesù che annoda le cordicelle per farne una sferza: “fatta allora una sferza di cordicelle…”. Consumato dallo zelo, cacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi. E non si limitò, non si contenne, non gli bastarono le parole: “Gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi e ai venditori di colombe disse: Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato”. Fragile davanti alle emozioni?

Lontano anche dall’ideale dell’uomo di spirito che ha in somma cura l’arte di sorvegliarsi, allontanandosi da ogni forma di eccesso persino nei sogni. Per fedeltà spenta al reale. Non è forse vero che un giorno i discepoli, di ritorno da una compera di cibo nel villaggio più vicino, lo trovarono a parlare con la donna di Samaria, così preso dall’acqua, che la sua parola aveva disseppellito dal cuore della donna, da abbandonarsi a visioni di sogno? Lui in quel sole caldo li invitò sorprendendoli a contemplare campi biondeggianti di grano in anticipo di mesi. Quanti maestri dello spirito gli avrebbero gridato di guardarsi da quelle farneticanti esaltazioni invocando un minimo di moderazione!

I vangeli, a differenza di quello che avremmo fatto noi perché non apparissero in lui ombre di “debolezza”, non nascondono, non censurano, anzi raccontano senza esitazioni di sorta i suoi turbamenti.

Un turbamento sino al pianto. Non stava certo nella figura dell’uomo forte, quello che non si scompone, che tiene alto il suo profilo in ogni evenienza. Turbato sino al pianto, narra il vangelo. Pianto per morte di un amico. Né si preoccupò di nascondere quella che alcuni ancora chiamano fragilità e debolezza. Apertamente. Tutti lo videro, tutti a dare testimonianza di quanto lui amasse Lazzaro.

La fragilità dell’anima turbata. C’è chi non si lascia mai turbare nell’anima, imperturbabile, c’è chi nasconde il suo turbamento. C’è chi come Gesù il turbamento lo patisce straziante ruvido sulla pelle scorticata, sente il cuore tremare e lo confessa senza falsi pudori.

Non ho titolo accademici per confortare una tesi, ma mi ha sempre colpito un confronto tra il racconto delle tentazioni subite da Gesù nei quaranta giorni passati nel deserto e il racconto delle tentazioni subite da Gesù durante la sua esistenza e in modo particolare nell’ultimo scorcio della sua vita. Il racconto del deserto sembra, mi si perdoni, cancellare ogni figura di fragilità. Mi sono chiesto se gli evangelisti volendo raccontare la vittoria sulla tentazione non abbiano calcato sulla libertà estrema luminosa del Rabbi di Nazaret che sfugge, ed è affascinante, ad ogni sequestro e imprigionamento.

Mi sono chiesto se gli evangelisti nell’intento di raccontarci l’atto estremo, quello conclusivo, vittorioso delle tentazioni non siano nelle stesso tempo incappati nella necessità, forse non voluta, di sottacere il percorso psicologico e il travaglio che segnarono anche duramente corpo mente e cuore del Signore nel cammino verso un simile atto di libertà e di amore, estremi!

Stando al racconto dei vangeli non potremmo certo dire che Gesù le scelte, soprattutto quelle estreme, le abbia affrontate con animo spavaldo, bensì pagando alla fragilità umana un caro prezzo. Scelta a caro prezzo dentro un debito di confessata riconosciuta debolezza. Dentro un debito di vero, non finto turbamento.

Crocifisso – passione

Il pensiero mi corre a un giorno che per Gesù già odorava di passione, passione estrema. Vicina era la Pasqua. Tra quelli saliti per il culto c’erano anche dei Greci. Forse non giudei? O forse proseliti? Non sappiamo. Comunque non gente del recinto, non appartengono al recinto d’Israele. Si sentono attratti da un desiderio. Di vedere Gesù: “Signore, vogliamo vedere Gesù” dicono a Filippo. Quelli vogliono vedere Gesù. E non sono del recinto. E allora Filippo prende con sé Andrea, vanno in due a parlarne a Gesù. Ma lui risponde in modo enigmatico.

Risponde: “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo”. Trono della gloria per lui è la croce. La croce per lui il luogo – è paradossale dirlo – della massima attrazione: “quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”. E’ come se Gesù pensasse: arrivano anche i pagani? Anche loro attratti? Ma allora è vicina l’ora della croce, l’ora della attrazione che di più non si può.

Che cosa vedrà quel gruppo di Greci? Vedranno un chicco di grano cadere nella terra. Gesù ha davanti agli occhi la vicenda del chicco di grano. Ebbene l’ora della sua morte non la affronta in modo spavaldo, come fosse un passaggio naturale. No, anche lui turbato. Turbato da questi greci che con la loro presenza gli ricordano che l’ora della discesa nella terra è vicina. E Gesù si svela, si svela nel suo turbamento, nella sua fragilità. Non è come noi che ipocritamente, per falsa immagine di spiritualità, vogliamo esibire una fede senza turbamenti. Lui dice: “Ora l’anima mia è turbata”. E sarebbe anche tentato di allontanare quell’ora.

Gesù nell’orto degli uliviAggiunge: “E che devo dire allora? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora. Padre, glorifica il tuo Figlio”. Gesù non chiede di essere risparmiato, ma di essere glorificato. Il legno diventerà il luogo della gloria. Accoglie la sua ora, ma dopo aver attraversato senza sconti il mare del turbamento dell’anima, il mare della sua fragilità.

Ebbene per uno come me che cerca, da povero cristiano, di spiare Gesù e la sua vita, per lasciarsene in qualche misura contagiare, è fonte di non povera consolazione il fatto che Gesù stesso nel suo cammino verso la croce abbia conosciuto fragilità e turbamento. Lo confesso, me lo sarei sentito meno vicino, meno compagno del viaggio, se non ne avesse spartito con me il turbamento, se verso la morte fosse andato con passo spavaldo, da eroe, il forte cui non trema il cuore.

Gesù nell'orto degli ulivi

Leggo nei vangeli che, nell’orto, in vigilia di morte “cominciò a spaventarsi e a sentire angoscia”. Confessò tristezza: “Ora – disse – l’anima mia è triste fino alla morte”. E gli ulivi lo videro sudare sangue di morte.

Messia chino sulle debolezze degli umani, abitò la nostra esistenza, una fragile tenda, un telo di vento. Abitò la nostra fragile carne.

Superò la fragilità, anche quella estrema, oserei dire, con un nome che si affaccia, costantemente, connessione intrigante, nell’ora della debolezza: “Padre”. “Padre” nell’ora dell’arrivo dei greci: “Ora l’anima mia è turbata. Che devo dire? Padre salvami da quest’ora? Padre, glorifica il tuo Figlio”. “Padre” ancora nella notte degli ulivi: “Padre, se vuoi allontana da me questo calice: tuttavia non sia fatta la mia ma la tua volontà”. “Padre” nell’ora della croce dopo l’urlo che ferì il cielo, “Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato”, urlo, estrema fragilità. Dopo l’urlo l’invocazione struggente, pure grido a gran voce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Una fragilità consegnata alla preghiera, sollevata dalla fiducia in un Padre che non abbandona nel grido i suoi figli.

Ci emoziona nella preghiera di Gesù quel perseverare, nonostante tutto, a dare a Dio il nome di Padre, con una confidenza che ci rabbrividisce: “Abbà!”. Ci rabbrividisce, e ci insegna una immagine più autentica di preghiera. Dentro un dilemma: pregare perché ci siano risparmiati i passaggi faticosi, le tempeste della vita o pregare perché non veniamo meno, perché non ci sentiamo soli e abbandonati nell’attraversamento? Come ci fa pregare il salmo: “Anche se vado per valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me” (Sal 23,4).

Nella fragilità, a sostegno, Gesù cercò il volto di Dio. Dobbiamo però, per debito di verità, aggiungere che nel momento della fragilità lui cercò anche volti di amici, senza minimamente velare questo suo bisogno profondo di vicinanze anche umane. Mendicante di amicizie e di affetti.

Il racconto del giardino narra quel suo andare in cerca degli amici e la desolazione di trovarli addormentati, quasi non ci fossero. Per tre volte disegnati nel racconto quei passi in ricerca, per tre volte raccontata la delusione: “Venne e li trovò addormentati…venne di nuovo e li trovò addormentati…venne per la terza volta e disse loro: Dormite pure e riposatevi. Basta! E’ venuta l’ora: ecco il Figlio di dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi e andiamo”.

Una fragilità la sua, come la nostra che anela ad essere riconosciuta e sollevata da chi ti ama. I vangeli ci raccontano di Gesù che, nei primi giorni della settimana che vide la sua passione e la sua morte, cercava rifugio, rifugio del cuore, passando le sere e le notti a Betania, in casa di amici. Aperta la porta per l’amico, l’amico che sentiva la pressione, ormai vicina, delle croce.

santa marta e maria

Maria di BetaniaE non fu proprio a Betania che all’inizio di quella settimana che si preannunciava decisiva, decisiva di morte, per Gesù, una donna amica, Maria, in quella cena si accorse, lei sola, del segreto che pesava sul cuore del suo amico e maestro, ora che il cappio stava per soffocarlo una volta per sempre? E lei a ungerlo e a profumarlo con un profumo che fece gridare tutti per l’eccesso di uno spreco! E Gesù, a fronte dei discepoli così lontani dal capire che cosa gli passasse nel cuore, a difenderla: lei era arrivata, con gli occhi di chi ama, a intravedere, a capire, ad accogliere un bisogno segreto del cuore.

Dono, per chi attraversa il buio della fragilità, la luce che pulsa dal volto di un amico, di una amica. Dono inestimabile è avere al fianco uno che ti legga nel cuore, uno che vegli sulla tua angoscia, consapevole di non potertela purtroppo cancellare, ma pronto a portarla con te. Gesù sembra raccontare la improponibilità di una fede, in forza della quale presuntuosamente si arrivi a dichiarare che basta Dio a noi stessi.

Cercò il volto del Padre, cercò il volto degli amici.

Angelo Casati


IL DR. ALBERTO BETTINELLI: PROFUMO DI SAMARITANO – Angelo Nocent

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Alberto Bettinelli (Foto by Cardini)Il Dr. Alberto Bettinelli

pianeta-terraNon l’ho conosciuto. Ma mi basta sapere che il Dr. Bettinelli è esistito. E continuerà ad esistere. Non per un “riposo eterno” ma per un’attiva collaborazione con la terra, il pianeta del dolore,  visto dall’alto dei cieli. Perciò, conoscerlo e farlo conoscere, per uno che ama i santi della carità e coltiva nel cuore i grandi ideali di un San Giovanni di Dio, San Riccardo Pampuri…è bisogno del cuore. Perciò lo addito, perché la carità è contagiosa. E Dio sa di quanto amore del prossimo hanno bisogno il mondo, i nostri giorni.

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Sì, CHI CREDE VEDE. E se io cammino, costruisco, confesso…, sostengo e spiego la mia fede. Proprio come ha cercato di fare questo medico, credente e operante.  Ma si può affermare anche che, chi VEDE persone così, finisce per CREDERE.

Don_Luigi_Maria_Verzé_2009Proprio in questi giorni ho riletto una pagina dell’intervista Carlo Maria Martini/Luigi Maria Verzé “SIAMO TUTTI SULLA STESSA BARCA”.

Il  fondatore del “San Raffaele” di Milano chiedeva al cardinale “se il Cristo è oggi veramente inimitabile nella sua santità e nei suoi miracoli, o se invece non possiamo, o piuttosto dobbiamo imitarlo, per esempio, nel miracolo di una medicina sacerdotale. Penso con questa espressione all’istituzionalizzzione di sacerdoti consacrati e insieme medici laureati. E’ quello che voglio fare io…

Eucaristia Sacramentum Hospitalitatis

Carlo Maria Martini - Credo la vita eternaL’arcivescovo emerito: “Certamente Lei ha avuto molte esperienze importanti, anche se non tutte sono andate a buon fine.
Mi suscita qualche problema sentire parlare di intervento diretto di Dio nella malattia. Intervento di Dio sì, ma…diretto? No, non ne sarei così sicuro.

Le azioni operate da Gesù sui malati erano interventi di rivelazione e di misericordia. Gesù non ha guarito tutti i malati del Suo tempo, ma solo una piccolissima parte di essi.

Del resto, la parabola del buon samaritano insegna che è dovere di ogni persona occuparsi della sofferenza del prossimo come piò, e nelle occasioni che gli capitano, non soltanto attraverso la scienza medica, nè soltanto attraverso l’interesse, ma con tutti quanti i mezzi a disposizione.

Gesù risanava alcuni e la Sua missione era al di  sopra delle gurigioni. Tanto è vero che nell’ultima parte della vita non ha quasi compiuto miracoli di questo genere. Sarebbe stata troppo facile la sua missione, se si fosse trattato soltanto di risanare.

Gesù aveva una missione più ampia, più complessa, più universale. Un cristiano avverte tutto ciò, lo intuisce a seconda delle circostanze, ma non può limitarsi a un solo aspetto della presenza di Gesù.

Quanto ho detto non vuol dire che non ci possano essere persone consacrate alla salute degli altri. Ma non deve identificarsi col programma cristiano“.

Grazie, Dr. Bertinelli, per averci offerto, con la tua morte, la possibilità di rispolverare il Vangelo del “farsi prossimo”, una lezione che non si è mai imparata una volta per tutte.

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MEDICINA & PERSONA, SALUTE & SALVEZZA, FEDE-SPERANZA-CARITA’…

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Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno. Alleluia. (Preghiera dalla liturgia del 16 agosto 2014, sabato della XIX settimana del tempo ordinario)

Gli Amici di Alberto Bettinelli della casa dei Memores Domini: ”Il suo, uno sguardo da bambino che nulla misura e tutto ama”.

Alberto Bettinelli 02Il nostro Alberto ha compiuto la sua vocazione nel giorno dell’Assunzione della Vergine Maria, secondo l’imperscrutabile disegno del Padre.

Tenera preferenza per il suo essere “bambino nella fede”, entusiasta del bene, tenacemente fedele alla storia che lo ha generato e al padre suo e nostro, Don Luigi Giussani.

Semplice e umile, capace di accudire i malati e in particolare i suoi piccoli con straordinaria attenzione e professionalità, piegandosi al dolore, con un impegno totale.

Capace di uno sguardo che lo faceva commuovere dei drammi del mondo, in particolare laddove era offesa la dignità dell’uomo, era colpita la vita innocente o in pericolo la libertà della fede, come recentemente per i cristiani in Siria e in Medio Oriente.

Assunta nei CieliUna tenerezza di affezione che, segnata dal rapporto con la madre – donna di straordinaria fede – era capace di abbracciare chi gli era vicino e diventare così esempio anche per i nipoti o per i giovani medici e laureandi coinvolti nelle numerose attività di approfondimento e ricerca che promuoveva con gli amici e colleghi medici.

Chiediamo umilmente alla Madonna che interceda per lui e per tutti noi, perché obbedendo alla vocazione, possiamo imparare il suo sguardo da bambino, che nulla misura e tutto ama perché infinitamente amato.

I suoi amici della casa dei Memores Domini di Milano.

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Milano: medici, amici, fratelli nella Fede alle esequie del dr. Alberto Bettinelli. ”Insegnava a curare la malattie col sorriso”

Quando uno ha il cuore buono non ha più paura di niente: è felice di ogni cosa, vuole amare solamente“. E’ racchiusa nelle parole del canto che gli amici “Memores Domini” hanno intonato nel corso della celebrazione, la descrizione più vera dell’umanità di Alberto Bettinelli, primario di pediatria dell’ospedale Mandic di Merate, morto il 15 agosto dopo un malore che lo aveva colto alcuni giorni prima sulla spiaggia di Varigotti, in provincia di Savona.

Un’umanità che, permeata dalla grande fede che da sempre ha modellato la sua vita, si è tradotta nella dedizione ai bambini malati, nella vicinanza alle loro famiglie, nella crescita di colleghi e tirocinanti.

Questa mattina nella chiesa di Sant’Ildefonso a Milano, parrocchia di residenza della sua famiglia, si sono svolti i funerali alla presenza di centinaia di persone. Moltissimi i rappresentati del mondo ospedaliero meratese, gli “ex” del Mandic e poi i parenti (in prima fila l’anziana mamma e la sorella che erano con lui al momento del malore), gli amici, i compagni di Fede.

“Non dobbiamo farci trascinare dalle apparenze e chiuderci nei limiti del dolore, pure inevitabile” ha esordito nella sua omelia Don Pino Alberto, il celebrante che assieme ad altri sei sacerdoti ha officiato il rito funebre “quanto accaduto è il compimento in circostanze misteriose ma reali di una vita in cui l’opera di novità di Cristo è stata l’esperienza dominante. E questo è quanto accaduto ad Alberto. Attraverso il mistero del dolore innocente dei suoi bambini ammalati, dei suoi piccoli pazienti e delle loro famiglie, Alberto viveva la paternità di Dio, in una donazione profonda e in un abbraccio universale“.

Parole di dolore ma cariche di riconoscenza sono state espresse anche dagli amici “memores Domini” di Don Giussani, corrente cattolica di cui il primario faceva parte, così come dai colleghi, medici e infermieri del Mandic che hanno ricordato come “Alberto ha insegnato che le malattie si curano anche con il sorriso“, dai volontari Abio con i quali il medico aveva intessuto un particolarissimo rapporto di collaborazione e amicizia.

Alberto Bettinelli_ricordi_colleghi1Con l’équipe medica e infermieristica e una piccola paziente

Colleghi e genitori di piccoli pazienti ricordano il dr.Bettinelli. ”Alberto non c’è più ci ha lasciati nel giorno dedicato a Maria. Aveva votato la propria vita alla cura dei bambini ammalati”

Il nostro dr. Alberto non c’è più.

Ci ha lasciato increduli, commossi ed addolorati in una giornata dedicata a Colei che gli era cara e che spesso invocava: la Madonna.

Non possiamo non ricordare la sua costante presenza in Reparto.

Alle 7.30 udivamo il suo passo familiare: raggiungeva la cucina e sorseggiava un tè con il personale del mattino.

Poi, subito al lavoro…visite, controlli, discussione di casi critici, riunioni, impegni…

Frenesia di un quotidiano dedicato ai bimbi malati cui ha votato la propria vita.

Ci piace ricordarlo mentre giocava a biliardino coi piccoli degenti o quando compariva dal suo studio con in mano un gioco per un paziente “coraggioso” o con indosso la maglietta dell’Italia al posto del camice…

Ma quello che ricordiamo è l’umanità, la spontaneità di una persona a volte schiva nel raccontare di sé ma generosa nell’essere vicino agli altri, colleghi o malati che fossero.

Ognuno di noi conserva un aneddoto, una frase o un evento che lo riguardano.

Lui non c’è più, ma il suo lavoro resta, resta la professionalità, resta l’umanità, resta ciò che ci ha insegnato.

Da adesso, non potremo far altro che impegnarci nel compito che svolgiamo tra i piccoli per renderlo orgoglioso da lassù del nostro operato, sperando che vegli su di noi come un amico che d’improvviso ha deciso di raggiungere un posto migliore.

Ciao Alberto. Ci mancherai.

L’intero gruppo dei collaboratori – Medici, Infermieri, Ausiliari- della Pediatria e della Chirurgia pediatrica di Merate

Alberto Bettinelli_ricordi_colleghi 2Il dottor Bettinelli con gli amici dell’ABIO durante una festa di Natale

Clementina IsimbaldiSono stata collaboratrice, ora sono da poco in pensione, ma sono soprattutto amica di Alberto, una amicizia che dura da una vita. La sua morte improvvisa mi ha fatto dapprima ricordare un canto che spesso facevamo insieme nei raduni con gli amici, bellissima:

Qualcosa muore nell’anima quando l’amico se ne va. Quando l’amico se ne va e va lasciando una traccia che non si può cancellare. Non andartene ancora, non andartene, per favore, perché anche la mia chitarra piange quando dice addio. Un attimo di silenzio al momento di partire perché ci sono parole che feriscono e non si possono dire. La barca diventa piccola quando si allontana sul mare. Quando si allontana sul mare e si perde all’orizzonte, com’è grande la solitudine! L’amico che se ne va lascia un vuoto che è come un pozzo senza fondo, che non si può riempire“.

Quello che descrive la canzone è l’esperienza di tutti noi con la sua scomparsa. Eppure non è tutto qui. Non basta dire “E’ così“, non ci basta. A me non basta perché c’è dell’altro. Cioè: la vita non è solo questo, la morte di Alberto è segno di Altro. Era un bravo medico, interessato a tutto, a tutti i nostri piccoli pazienti; ma soprattutto la vita di Alberto è stata piena di un Altro che l’ha trasfigurata.

Primario sì, ma con la capacità di rendere possibile a ciascuno dei suoi collaboratori di essere se stesso, di esprimere sé nello specifico del lavoro, aspettando senza pretesa da ciascuno il risultato che pazientemente attendeva…..In questo modo, in questa libertà, il nostro reparto è cresciuto negli anni, con il contributo di ciascuno. E con la dedizione di ciascuno per una gratuità che si vedeva all’opera nei propri confronti. Ecco, questo è stato per me Alberto. Lo ricordo così.

Drssa Clementina Isimbaldi

Alberto bettinelli 3

tenersi-per-manoCaro Dottore,
non può neanche immaginare lo sconforto e il senso di vuoto che noi tutti proviamo. La perdita di una persona come lei, unica e dal cuore grande,che ha fatto del suo lavoro una vera e propria passione aiutando tante persone,tanti genitori spaventati come noi,ma sopratutto tanti bambini come mio figlio. Un uomo magnifico,sempre con il sorriso,sempre disponibile,umile….qualità che in una persona sola è difficile trovare,possiamo dire che è quasi impossibile.

Un DOTTORE che non ha mai smesso di capire,di studiare,di appassionarsi,di ascoltare ogni singola persona e il suo problema,con calma e interesse,quanti dottori lo fanno ancora?,in quanti si siedono con il paziente e lo ascoltano?,purtroppo siamo stati in molti ospedali,ma nessuno ci ha mai capito e compreso come lei.

Si è sempre interessato ogni volta che mio figlio veniva ricoverato qui a Massa,ha sempre risposto a ogni nostra chiamata,ogni nostra mail…quando una volta all’anno si veniva al Mandic si occupava di trovarci una sistemazione per notte sempre meno costosa, perché il viaggio per noi, ma sopratutto per Tommaso era un pò lungo.

La mattina dopo aspettava il primo prelievo e arrivava con una bella brioche calda per il bimbo…. “Mangia che diventi forte!”…..ecco questo era lei. Non ci saranno mai belle parole o grandi aggettivi per poterla descrivere,nessuno le renderebbe mai giustizia, perché lei era questo e molto più. Senza di lei ci sentiamo persi,disorientati,spaventati come prima di conoscerla…ma il suo bellissimo ricordo sarà sempre con noi,ci darà forza,ci guiderà e ci aiuterà a continuare a percorrere la strada da lei insegnata. Grazie Bettinelli, è stato un onore conoscerla.

Francesca e Michele

Alberto Bettinelli2

Oggi le voci squillanti dei bambini non riescono a mitigare il dolore e lo sconcerto di tutto il personale, che lo ricorda come grande medico e grande uomo.

La sua competenza nel trattamento delle tubulopatie era riconosciuta a livello internazionale, e la sua positività, gentilezza e disponibilità erano indiscusse” ha spiegato il dottor Cogliati.
Il direttore sanitario del Mandic, dottor Gedeone Baraldo, ha raggiunto i colleghi nel pomeriggio di oggi. “Abbiamo subìto una grave perdita, incolmabile, dal punto di vista professionale e umano” ha commentato con amarezza. “Il dottor Bettinelli aveva un grande attaccamento ai suoi pazienti, e si dedicava ad ogni singolo caso con grande impegno, senza mollare finchè non era riuscito ad ottenere una diagnosi chiara”.

 



PASSI VERSO LA FEDE lungo le vie tracciate dal Card. Carlo Maria Martini – Valentina Soncini

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Valentina Soncini 02VALENTINA SONCINI

Data di nascita: 8 Dic 1964

Regione: Lombardia

Diocesi: Milano

Professione: docente di filosofia in scuola statale e teologia al Pime

Stato civile: nubile

Esperienze associative:

Già Vicepresidente adulti della Diocesi di Milano dal 2002 al 2008, poi Presidente DIOCESANA, ora al secondo mandato. Dal 2003 fa parte della commissione testo a livello nazionale per gli adulti e dal 2007 coordina il gruppo di ricerca antropologica del Centro Studi dell’AC.

Altre esperienze in ambito ecclesiale e sociale:

In qualità di presidente partecipa a una molteplicità di luoghi di esercizio della corresponsabilità – precedentemente ha curato la commissione diocesana per la formazione degli educatori; ho fatto parte del consiglio pastorale diocesane già in precedenza durante l’episcopato del Card. Martini

 

Carlo Maria Martini ingresso_a_milano

Valentina Soncini 01In ascolto dell’animo pastorale del Vescovo Carlo Maria Martini

Passi verso la fede lungo le vie tracciate dal Card. Carlo Maria Martini

Raccogliersi nella memoria, raccontare un tratto di vita, provare a far emergere dentro una storia il contributo di un Vescovo è qualcosa di emozionante e difficile, soprattutto se questo Vescovo è la ricchissima figura di Martini e chi ascolta questa storia a suo modo ha vissuto molte altre cose che sarebbero da raccontare al di là di quello che riuscirò a dire io.

Don Luigi Serenthà e i Card. MartiniHo provato a raccogliere questo contributo e ve lo offro come testimonianza di una giovane che ha mosso i suoi passi più importanti di adesione alla fede negli anni ’80 e per questo ho scelto di intitolare questo contributo con Passi verso la fede lungo le vie tracciate da Martini, prendendo anche un po’ a prestito il titolo credo dell’ultimo contributo di tipo teologico scritto da don Luigi Serenthà.

Obiettivo mio è che ciascuno, sia che abbia direttamente personalmente conosciuto o no Martini, possa ripercorrere il proprio vissuto e riconoscere con gratitudine la traccia di una azione ecclesiale del Vescovo Martini che ci ha accompagnato nella via di una fede adulta di discepoli e testimoni. Questa traccia nella vita di Chiesa credo sia oggi un’eredità da far fruttare a vantaggio di tutti.

Papa Francesco 02Mi introduco con le parole che ha rivolto Papa Francesco a Scalfari qualche giorno fa: La fede, per me, è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l’accesso all’intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa – mi creda – non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità.”

Questa citazione mi fa dire che il venire alla fede è un processo misterioso e profondo, legato all’indicibile e indescrivibile azioni di Dio verso ciascuno, ma senza una Chiesa, un luogo storico che modelli e dia parola vera a questa relazione si rischia di smarrirla o di non viverla in pienezza.

Anch’io sento che il mio cammino di fede è iniziato da lontano, da una molteplicità di atti, scelte, attenzioni educative che hanno accompagnato la mia vita, ma riconosco anche che la Chiesa che ha reso possibile il mio cammino di fede negli anni importanti della giovinezza è stata la Chiesa ambrosiana governata e presieduta da Carlo Maria Martini, una Chiesa che ha preso via via il volto e il passo del suo Pastore grazie al fatto che il suo Pastore ha preso per mano la sua Chiesa – sposa e si è dedicato a lei con tutto se stesso, offrendo tutto ciò che aveva e che era.

Come si legge nella Dei Verbum, la trasmissione della fede avviene attraverso tutto ciò che la Chiesa ha ed è. Vorrei dare voce a questo percorso ecclesiale del venire alla fede e soprattutto ad una fede adulta grazie al Vescovo. Brevemente riassumo alcune note biografiche per dare l’idea del tipo di esperienza che mi è stato permesso di fare, non volendo sostare su aspetti o risonanze troppo personali.

Martini ingresso a Milano 01Nel 1980 avevo 15 anni quando Martini è entrato in Diocesi, non ne sapevo nulla né di Martini, ma nemmeno del significato di un cambio di Vescovo per una Chiesa locale e per l’esperienza credente.

Io non c’ero ad accogliere Martini il 10 febbraio del 1980. (Non avevo ancora incontrato l’AC, che forse in modo unico fa vivere un senso ecclesiale diocesano).

Le prime tre persone che riesco a ricordare in un tempo tra il 1981e il 1982 che mi hanno parlato di Martini sono state un’ausiliaria diocesana e il mio parroco a Lambrugo e poi don Luigi Serenthà conosciuto tramite la Nostra Famiglia di Bosisio P, che veramente mi ha reso possibile capire qualcosa del nuovo Vescovo.

Martini scuola_della_parola

Dal 1983 non ho perso alcun a scuola della Parola in Duomo.

In quegli anni credo di aver letto moltissimi o tutti i libri di Martini di commento biblico (esercizi, predicazione…) via via pubblicati che mi hanno arricchito sia per il contatto vivo con la Parola sia per il metodo offerto di discernimento, di attenzione profonda all’interiorità.

Tra la fine anni ’80 e gli anni ’90 ritrovo diverse esperienze di Chiesa, dentro le quali ha agito la sapiente azioni pastorale di Martini,esperienze che mi hanno permesso di crescere da giovane credente verso l’età adulta. Richiamo quattro di queste esperienze: - Il cammino di catechesi con il mio gruppo giovani. Il parroco ci faceva leggere e approfondire ogni anno la lettera pastorale, che dunque meditavamo e approfondivamo personalmente e insieme. Attendevamo ogni anno la lettera, come lo studente aspetta di avere tra mano il libro di testo dell’anno.

- L’appartenenza all’AC ambrosiana che intanto avevo incontrato e dentro la quale ho poi assunto delle responsabilità associative per gli adolescenti a livello diocesano tra il 1992 – 1996, nel consiglio diocesano di AC e poi dal 2002 in presidenza come vice adulti tra il 2002 e il 2008 e poi fino ad oggi come presidente.

Questa AC respirava a pieni polmoni il magistero e lo stile di Martini, gli assistenti di allora, i presidenti, i responsabili a tutti i livelli erano in sintonia profonda con le sue linee e le trasmettevano in moltissimi modi, con incontro, letture, scelte pastorali e spirituali a tutta l’associazione. Ringrazio veramente tutti i dirigenti di quegli anni dell’AC per questa fedeltà al Vescovo. Queste responsabilità mi hanno anche permesso tra l’altro qualche contatto più personale con Martini.

- L’assunzione di alcune responsabilità pastorali diocesane, tra le quali: il coordinamento insieme a don Franco Carnevali del cammino per gli educatori Sulle Rive del Giordano voluto dal Cardinale, la partecipazione come membro di nomina arcivescovile al Consiglio pastorale diocesano dal 1998 e la partecipazione alla giunta del consiglio stesso. Queste ed altre esperienze mi hanno condotto accrescere nella responsabilità ecclesiale, nella cura per la formazione di altri a cui dedicare tempo, competenza, con un senso ecclesiale via via sempre meno astratto.

- Infine una quarta esperienza personale che è cresciuta in quegli anni è stato lo studio della teologia. Vivevo in una Chiesa ricca dell’alimento di una Parola proclamata, spiegata, offerta alla meditazione del cuore e alla ricerca della ragione, stimolata da formatori ed educatori motivati da un pastore come Martini, il quale continuava a rilanciare un tipo di impegno pastorale aperto interrogante, profondo (cattedra dei non credenti, discorsi alla città…) il che ha alimentato in me anche il desiderio di capire la fede, intraprendendo la via che già mi aveva indicato don Luigi Serenthà cioè lo studio della teologia, compiuto proprio tra il 1988 e il 1999 , gli anni più importanti anche dal punto di vista personale.

Ho identificati quattro percorsi più precisi di un intero cammino ecclesiale innervato da eventi voluti e programmati da MARTINI che tutti possono ricordare, che abbiamo vissuto insieme in vario modo e non sto dunque a richiamare.

Ricavo da questi vissuti il modo con il quale la pastorale di Martini mi ha raggiunto, proprio in quanto vescovo. Il mio rapporto personale con Martini è stato infatti molto ridotto, al di là di 3 incontri pubblici l’ho incontrato personalmente circa dieci volte e forse altrettante volte ho scritto o ricevuto scritti da lui e non lo avrei mai conosciuto e frequentato se lui non fosse stato il nostro Vescovo e se io non avessi avuto un vissuto ecclesiale che mi portasse in contatto anche personale con lui.

Il suo operato di Vescovo è stato per me motivo di passi verso la fede. Il Vescovo secondo il Concilio Vaticano II è colui che insegna, governa e santifica e con ciò svolge la funzione di trasmettere la fede in continuità con la successione apostolica e in comunione con il collegio apostolico. Queste azioni e i loro effetti mi hanno raggiunto e mi hanno fatto camminare nella fede.

INSEGNARE: Martini da professore a Vescovo ha continuato in modo nuovo la sua attività di insegnante. Ci è venuto incontro con il Vangelo in mano, ha speso e perso tempo per predicare a noi giovani la Parola in tutte le occasioni possibili. Da Vescovo ci insegnava la Parola dandoci testimonianza di essere per primo lui stupito da un Dio che si fa vicino al cuore di ciascuno in ogni situazione. Ciò mi ha permesso di accorgermi che il primo passo verso la fede nasce dal cuore di Dio che si pone in cerca dell’uomo in Gesù Cristo, Parola fatta carne . Le tante lectio, scuole della Parola, omelie… mi hanno permesso di scoprire e vivere l’esperienza personale della fede cioè la relazione con il Dio che vive  nella sua Parola, nella sua Chiesa, nella storia.

E’ stato un diventare credenti grazie alla Parola, ma non isolatamente ascoltata, ma ecclesialmente accolta e vissuta. Questa sua predicazione continua appassionata profonda ha attirato moltissimi giovani da tutta la

Diocesi e con molti abbiamo fatto l’esperienza di sentirci parte di un popolo in cammino. In moltissimi abbiamo fatto la medesima esperienza di Chiesa, anche senza conoscerci direttamente, ma una volta che ci si incontrava per varie ragioni (incontri e servizi pastorali, cammini vari…) ci si riconosceva, si scopriva di aver ascoltato le stesse omelie, le stesse predicazioni, di essersi emozionati per l’intensità di una veglia… tutto ciò ha generato un senso di Chiesa e di appartenenza profondo, ci ha fatto fare esperienza di essere pietre vive di una Chiesa corpo vivente e pulsante.

GOVERNARE: Il vescovo Martini è stato uomo di governo cioè ha perato scelte pastorali volte a dare un volto alla Chiesa. Alcune sue scelte mi hanno coinvolta e mi hanno fatta crescere nel senso di corresponsabilità ecclesiale. Penso alla grande assemblea di Sichem, non ero delegata, ma l’ho vissuta ugualmente con tutto quanto è seguito. Richiamo il cammino post sinodale di formazione per gli educatori, Sulle Rive del Giordano (1994-inizio) in forza del quale ho coordinato il lavoro di formazione degli educatori fino al 2004.

Ho recepito e vissuto un certo modo di impostare i lavori del consiglio pastorale diocesano soprattutto l’esercizio di discernimento offerto con i discorsi di sant’Ambrogio e le lettere pastorali con le quali ha indicato sempre di nuovi i pilastri della fede a tutti, e ha messo in relazione con Gesù Cristo Principio e fondamento ogni aspetto della vita:

  • il comunicare,
  • l’educare,
  • l’amare,
  • il servire,
  • il morire…

Nel suo agire pastorale ha fatto fare pratica di discernimento personale e comunitario, ha continuamente spinto a non dare per scontato eventi positivi o negativi, ha sollecitato a rimanere vigili, curiosi, pensanti, aperti, profondi in ogni età della vita, fiduciosi di poter concorrere alla edificazione della Chiesa anche con la propria pochezza: “tutti discepoli, tutti testimoni” c’è scritto nel Sinodo XLVII e non è stato uno slogan esortativo, ma un atto di stima e di fiducia che per primo Il Vescovo ha praticato verso il suo popolo di battezzati.

Mi ricordo, per esempio, un faticosissimo consiglio pastorale diocesano dove ci chiedeva di dire i tratti che avrebbe dovuto avere un Vescovo, in vista di un sinodo sui vescovi, in vista anche del suo successore. Pochissimi intervenivano, ci si sollecitava a fare interventi, non mi sembrava veramente di avere nulla di intelligente da dire… ma Martini prendeva appunti su tutto quanto emergeva.

SANTIFICARE: da quanto ho colto del magistero di Martini non ho trovato tantissime tracce in me di insegnamenti sui sacramenti, senza dimenticare però che all’inizio del suo percorso sui pilastri fondamentali della vita cristiana (Parola, Eucarestia, Testimonianza…) ha scritto “Attirerò tutti a me” lettera bellissima sull’Eucarestia collegata anche al congresso eucaristico, e successivamente ha spesso ripreso il testo degli Atti degli Apostoli con i tratti della prima comunità, radicata nell’ascolto della Parola e nella frazione del pane, esemplare per ogni successiva forma di comunità cristiana. A questa icona Egli è tornato molte volte.

Con questi insegnamenti Martini mi ha trasmesso un modo vivo e concreto di vivere e curare la vita sacramentale uscendo da una fede di convenzioni e tradizioni verso una fede di convinzione che non si emancipa da.., ma si immerge nella Tradizione e nei gesti antichi della fede.

In sintesi : Martini ha esercitato fino in fondo il ministero episcopale e la Chiesa di Milano porta impresso il segno di questa triplice azione,che ha permesso la trasmissione della fede, la crescita di cristiani adulti pur in un con testo di piena secolarizzazione. Questa sua azione mi ha raggiunto e negli anni mi ha formato.

Riconoscendo in modo grato questa azione ecclesiale che mi ha permesso di crescere, ho colto con profonda sofferenza, come un colpo al cuore, nella – ingiustamente resa nota – lettera di Carron l’accusa espressa alla nostra Chiesa come chiesa con magistero parallelo e chiesa scismatica, è come se avesse detto che quanto vissuto dal 1980 al 2010 fosse falso. Ad amici di CL ho avuto modo di esprimere questa sofferenza per l’accusa alla Chiesa che mi ha generato alla fede e che, anche loro convenivano, ha generato anche loro alla fede. Per me questa è stata una Chiesa madre affidabile e non cattiva consigliera.

Porto nel cuore la gratitudine per il vescovo MARTINI che si è fatto testimone luminoso del mistero di Dio, che ha lasciato trasparire nell’esercizio umile e continuo del suo ministero. Io credo di poter dire che il Vescovo MARTINI è per essere stato per me, per la mia generazione e per più generazioni un Grandi Padri della fede del XX secolo.

Valentina Soncini 14 settembre 2013

Carlo Maria Martini arcivescovo


PAPA FRANCESCO – LA COMUNICAZIONE NON E’ TUTTO – Enrico Ghezzi

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Handout shows Pope Francis holding a boy while on a visit to the Varginha slum in Rio de Janeiro

Grazie, Don Enrico, per quanto hai scritto su EUROPA.
Siamo facili agli entusiasmi ma anche capaci di perdere di vista l’essenziale. E tu l’hai messon ben in efideza:

Non si capisce la forza del messaggio di Bergoglio fermandosi alle sue doti di comunicatore. C’è di più, quel che conta è la “comunione”  “.

Don enrico Ghezzi 02Il mio caro amico Don Enrico Ghezzi che, durante gli anni del Concilio, io ventenne a Milano e lui studente di teologia all’Università Gregoriana di Roma, mi ha fatto innamorare della Chiesa.

 

Ghezzi Mons. Enrico - teresa-15

Don Enrico da Parroco


Leggo su giornali e riviste i rilievi positivi verso il papa Francesco per la sua straordinaria capacità di rivolgersi ai giovani (ma anche ai nonni), tramite la modernità dei multiformi media.

È certo che la comunicazione breve, intensa, colorita viene apprezzata dai più giovani, indispostii a lunghe letture. Ma mi chiedo anche: papa Francesco cosa vuole dire, di fatto, con l’uso di questi strumenti di comunicazione moderna?

Attira simpatia, perché è moderno, perché usa gli stessi strumenti do comunicazione dei ragazzi, o piuttosto, perché in questi segni concreti della comunicazione, vuole esprimere il suo enorme desiderio di “comunione” con il popolo, con i malati, coi bambini? È “comunione” la sua o semplice forma di “comunicazione”?

Faccio l’esempio di un gesto che non può essere realmente compreso in semplici termini di comunicazione. Sulla sua visita in una piccola favela di Rio in Brasile, nel recente viaggio, ricordo due momenti di un breve incontro.

  • Il primo. Il discorso di saluto rivolto al papa da un giovane, che ha descritto le tappe della sua esistenza travagliata e quella dei suoi amici, fino al raggiungimento della bellezza e della gioia della vita rinata con il lavoro di sacerdoti, di laici, di genitori che resteranno sempre sconosciuti all’intero mondo.
  • Il secondo. Nell’incontro, accompagnato da festa e da esultanza, il papa, oltre ai gesti di affetto, sembra che abbia detto: «Come sarebbe bello per me restare sempre qui con voi!».

E questo è un po’ il leit motif di tutti gli incontri del papa sia coi giovani, sia coi malati. Il papa non trasmette soltanto simpatia per i saluti che porta o le mani che tocca. La sua è una profonda “empatia”, un modo di “partecipare” con le persone perché mette se stesso in comunione con la gente, facendo percepire a tutti la sua forza straordinaria di amore.

In un’epoca di comunicazione diretta come la nostra, quando si prende in considerazione l’agire di papa Francesco, la “notizia” non basta più: vanno letti nel profondo i suoi gesti, le sue brevi dichiarazioni, i suoi propositi di riforma della chiesa.

  • C’è “qualcuno” che cammina in mezzo a noi,
  • che ha il carisma e la grazia di mettere in comunione ciò che è diviso,
  • di donare amicizia e solidarietà là dove divampa l’individualismo, e la solitudine.

Voglio dire insomma che non trovo più sufficiente ammirare la “modernità” del papa, per l’uso degli strumenti di comunicazione; è una considerazione che trovo superficiale e quasi banale: il papa invece, quando comunica con questi diversi strumenti del web, o con i gesti della sua corporalità, vuole indicare il suo desiderio di “comunione” con la realtà di popolo che in quel momento incontra: è come ripetere ogni volta il suo «vorrei essere sempre con voi».

È nella comunione che si crea l’amicizia, la misericordia, come avviene anche col Vangelo. Il vangelo infatti “comunica” qualche cosa, perché ti mette in “comunione” con qualcuno che «ha parole di vita eterna». Sarebbe davvero un abbaglio continuare a cantare le lodi del papa per quello che dice nei messaggi anche brevi, se poi corriamo il rischio di non verificarne la radicalità di conversione che le parole e i gesti vogliono significare.

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GLOBULI ROSSI – LE CARTOLINE DELLO SPIRITO (2) – Angelo Nocent

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Sono alcune delle cartoline che pubblico in facebook

 

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1-1-Carlo Maria Martini1 1-1-Gesù e Pietro-001 1-1-Globuli Rossi Company12 1-1-le-popolazioni-del-mondo Vedere - Bartimeo 1-40 mo matrimonio 2013 Globuli Rossi Company 1-Angelo12 1-Benedetto Menni 1-come-intervistare 1-Crocifisso - san francsco ??????????????????????????????? 1-Desiderio d'infinito 1-Pictures20 1-Pictures21-001 Globuli Rossi Company Fra Fortunatus Thanhauser1-Downloads95 1-Età adulta Modelli 39-001

 

Madonna delle Ghiaie di Bonate

 

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1-Documents5 1-Downloads94Madre Provvidenza, fondatrice di istituti religiosi maschili e femminili era NON VEDENTE

chSr Rosanna e la Fondatrice Madre Provvidenza morta dieci anni fa  5-Rosanna Pirulli 76

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26 Agosto 2014 – A un mese dalla morte del papa di Sr. Rosanna Pirulli

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CLAUDIA KOLL – TESTIMONIANZA DI UNA CONVERSIONE

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Claudia Koll

La riflessione che il missionario don Luciano ha trasmesso in questi giorni è la N. 379. Cade proprio a proposito per comprendere la testimonianza di CLAUDIA KOLL, ambasciatrice nel mondo della DIVINA MISERICORDIA.

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 Zona pericolosa – (1 Tessalonicesi 5, 9)


SvegliaNon è mai piacevole sentire suonare un allarme ma, ammettiamolo,
molti campanelli di allarme ci sono amici. La suoneria della sveglia al mattino – se non ci fosse perderesti il lavoro. L’allarme anti-incendio quando c’è del fumo o del gas in una stanza. Nessuno di noi di solito va in giro con suonerie di allarme addosso. Ma in alcune case di riposo hanno escogitato un sistema. A volte ospitano anziani afflitti da una grave perdita di memoria e totale disorientamento.

Così se per caso trovano una porta aperta escono dall’edificio e girovagano per la città, non sapendo né chi sono né dove stanno andando – comprese le strade trafficate! A queste persone la casa di riposo fa loro indossare uno speciale braccialetto che fa scattare un allarme quando stanno varcando la porta di uscita dell’edificio – in questo modo il personale li blocca prima che possano cadere nei pericoli. Quell’allarme può salvare le loro vite.

Quando ti muovi in un’area pericolosa di solito non te ne accorgi, allora è bene avere con se qualche allarme che scatta. Ed è importante prestare ascolto agli allarmi. Il Signore ti ha dotato di un sistema di allarme che si chiama Spirito Santo. Ti è stato donato - e chi te l’ha pagato è stato il sangue di Gesù. Gesù dice che lo Spirito Santo «convincerà il mondo quanto al peccato» (Gv 16, 8).

allarmeAllora, una delle attività dello Spirito è quella di far scattare l’allarme quando entri in un’area spiritualmente a rischio. Un pericolo che magari neanche avverti, ma che ti può danneggiare gravemente.

Dio ti dice una cosa molto importante in 1 Tessalonicesi 5, 19.

Quattro parole: «Non spegnete lo Spirito». E continua dicendo: «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono». Quando lo Spirito Santo parla alla tua coscienza, non ignorarlo. Non spegnere la sua fiamma dentro di te. Non ignorare il suo campanello di allarme che ti avvisa che stai oltrepassando la porta.

allarmeLo Spirito Santo è in azione dentro il tuo cuore, la tua mente e la tua coscienza lungo tutto l’arco della tua giornata, facendoti percepire cosa Dio pensa a riguardo delle cose che stai dicendo, di quelle che stai guardando, di ciò che stai ascoltando, su come stai trattando il Suo tempio (il tuo corpo), di quello che stai pensando, su quanto stai fantasticando, sulle ragioni che stanno alla base delle tue azioni. E quando stai oltrepassando i limiti, Lui mette in azione l’allarme – ti fa aprire gli occhi su quanto stai facendo, o magari ti fa sentire il rimorso per quanto hai fatto. Il quieto allarme di Dio che ti dice: “Stai oltrepassando la porta. Non te ne rendi conto, ma stai entrando in un’area pericolosa”.

Vedi, lo Spirito Santo sa molto bene dove ti porteranno le scelte che stai facendo. Come gli anziani disorientati, il posto dove vuoi andare sembra bello e senza pericoli. Ma Dio sa bene che ti porterà invece su una strada molto trafficata e pericolosa – ma quando finisci per accorgertene, probabilmente non sei più capace di uscirne. Nessun peccato rimane isolato. Il primo compromesso magari è difficile, ma raramente ci si ferma lì. Il prossimo peccato sarà sempre un po’ più facile, fino al giorno in cui ti troverai a fare quello che non avresti mai pensato di poter fare, di essere diventato quello che non avresti immaginato di diventare.

Forse recentemente hai smesso di sentire il campanello di allarme di Dio, che ti mette in guardia dal vivere nella menzogna. O che ti fa sentire pieno di vergogna e a disagio su ciò che stai guardando o ascoltando. Forse ti sta mettendo in guardia su certi comportamenti che recentemente stai avendo in famiglia. Magari il campanello di allarme dello Spirito Santo sta cercando di farti uscire da quella relazione sbagliata, quel rapporto pericoloso, da quella rabbia e amarezza che sta crescendo in te.

allarmeL’allarme di Dio è chiaro – non spegnere lo Spirito. Ascolta il Suo campanello di allarme. Tu non sai i pericoli che ci sono davanti a te. Lui sì. Non oltrepassare quella porta e torna indietro. Ti porterà dove non vorresti mai trovarti. Stai entrando in una zona pericolosa.

Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto

 don Luciano

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SI’, OBBEDIRE E’ MEGLIO – ASCOLTATE LA PICCOLA ADELAIDE – Raffaella Frullone

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Madonna delle Ghiaie di Bonate
 

Sì, obbedire è meglio. Ascoltate la piccola Adelaide

Di Raffaella Frullone – La Nuova Bussola Quotidiana, 27 Agosto 2014

 

raffaella frulloneAppena saputo della morte di Adelaide Roncalli, mi è balzato alla mente il titolo dell’ultimo libro di Costanza Miriano, Obbedire è meglio, solo che con una piccolissima postilla: il punto interrogativo.

Ma obbedire è davvero meglio? Se anche tra molti cattolici il nome di Adelaide Roncalli è sconosciuto, è perché questa donna, ha vissuto così come è morta: nell’obbedienza più totale alla Chiesa, e saldamente ancorata alla verità che quella stessa Chiesa ancora oggi non riconosce. Com’è stato possibile?

Quarta di otto figli, Adelaide viveva con la famiglia in località Torchio a Ghiaie di Bonate , a 10 chilometri da Bergamo. Una quotidianità umile, modesta, niente fuori dall’ordinario per quella provincia bergamasca dove quello che contava era lavorare per portare a casa il pane per la famiglia.

Adelaide Roncalli 2Era il 13 maggio del 1944 e mentre l’Europa tremava sottole bombe del secondo conflitto mondiale, Adelaide, una bimba di soli sette anni, andava per campi a raccogliere fiori di sambuco quando un incontro stravolse la sua vita, quella degli abitanti di Ghiaie di Bonate e di molti altri nel corso dei successivi 70 anni.

Pur avvertendo la straordinarietà di quell’incontro, con genuinità di bambina, Adelaide racconterà di aver chiaramente visto una signora: «bella e maestosa, indossava un vestito bianco e un manto azzurro [...] Al primo momento ebbi paura e feci per scappare, ma la Signora mi chiamò con voce delicata dicendomi: “Non scappare ché sono la Madonna!”. Allora mi fermai fissa a guardarla, ma con senso di paura.

La Madonna mi guardò, poi aggiunse: “Devi essere buona, ubbidiente, rispettosa col prossimo e sincera: prega bene e ritorna in questo luogo per nove sere sempre a quest’ora”».

A questo primo episodio ne seguiranno altre 12, la Vergine apparirà infatti alla piccola ogni sera dal 13 al 21 maggio e poi dal 28 al 31, presentandosi come “Regina della Famiglia”. Nella visione la donna si mostra con una veste purpurea e un manto verde, tra le mani tiene due colombi, simbolo dell’unione dei coniugi e su un braccio la corona del Rosario.

Adelaide Roncalli 3Durante le apparizioni sollecita a pregare molto e a offrire sacrifici, chiede penitenze e digiuni, promette protezione e guarigioni.

La voce delle apparizione si diffonde in men che non si dica in quel fazzoletto di terra che è Ghiaie di Bonate e, nonostante la guerra e i mezzi allora disponibili, un fiume di pellegrini comincia ad arrivare, prima cento persone, poi settecento, poi tremila, trenta mila, fino a trecentomila persone: tutti vogliono vedere la bambina e chiedono insistentemente all’Adelaide notizie sulla guerra. «Se gli uomini faranno penitenza la guerra finirà fra due mesi, altrimenti poco meno di due anni», le dirà la Madonna, annunciando la fine esatta delle ostilità.

Per chi conosce quelle  strade e quei paesi, impressiona vedere i filmati dell’epoca: fiumi di am malati trasportati in barella, pellegrini che si riversano alla stazione di Ponte San Pietro, distan te pochi chilometri e che mai più verrà invasa così da una folla devota e a dire il vero da nessun altro tipo di folla.

Il filmato del fotografo Vittorio Villa, realizzato con una rudimentale cinepresa, documenta anche i luoghi e le persone della quotidianità della piccola Adelaide: i sentieri di campagna, la vita contadina, le bambole, quotidianità che verrà stravolta non solo dalle apparizioni, ma dall’incontro con don Luigi Cortesi.

raffaella frullone 2

 
Don Luigi CortesiGiovane e brillante professore del seminario di Bergamo, subito intuì la portata straordinariadell’evento e si propose come figura di fiducia per la famiglia che non sapeva più come gestire lafolla che si accalcava fuori casa e nemmeno cosafare con la bambina.
 
Con affabilità e malizia, senza il Don Luigi Cortesi 2mandato ufficiale del vescovo, don Cortesi strappa la bambina dalla sua famiglia e, con il pretesto di indagare, nei mesi successivi sottoponeAdelaide a fortissime pressioni psicologiche eminacce, analisi e indagini del tutto arbitrarie e invasive, nonchésoprusi che lo stesso sacerdoteriporterà nei suoi scritti, al fine di convincerla a ritrattare. Un’operazione non facile perché la bambina ribadiva di non avere mentito, si piega solo con la minaccia dell’inferno, ovvero quando ilsacerdote le dice: «Fai peccato ad affermare di aver visto la Madonna».
 
Era il 1945. Dopo le crescenti proteste di molte persone che ne avevano visto l’operato, il vescovo impedisce al Cortesi di avvicinarsi di nuovo alla bambina, ma era troppo tardi: l’abiura peserà come un  macigno nel processo di riconoscimento delle apparizioni stesse.
 
Adelaide RoncalliL’anno successivo, finalmente liberata dall’’oppressione di don Cortesi, la veggente dichiara che la ritrattazione era falsa e gli era stata estorta con pesantissime pressioni psicologiche e in totale isolamento.
 
Il 18 aprile del 1948 la Chiesa di Bergamo si pronuncia con un decreto firmato dall’allora vescovo Adriano Bernareggi con un giudizio sospensivo «non consta della soprannaturalità», un giudizio chenon nega le apparizioni, ma che per anni rappresenterà il punto dinon ritorno per gran parte della clero bergamasco.
 
padre-angelo-maria-tentori «L’espressionenon consta della realtà”», spiegava Padre Angelo Maria Tentori, mariologo morto nel novembre scorso, «non ha un valore negativo, bensì un valore sospensivo e significa che in quel  momento non c’erano elementi probativi sufficienti; il decreto quindi non chiude definitivamente il caso, altrimenti sarebbe stata utilizzata, la formulaconsta che non”.
 
Purtroppo dobbiamo registrare un forte equivoco, perché molti, anche nel campo ecclesiale, quindi anche daparte di sacerdoti, ritengono che quel giudiziosia da considerarsi negativo, ossia che significhi che le apparizioni non sono mai avvenute, epurtroppo questo equivoco porta molte persone che vanno a pregare alla Cappella a sentirsi in statodi disobbedienza.
 
Non è così. La formula usata si limita a dire che l’autorità ecclesiastica non riconobbe sufficiente valore probativo agli argomenti portati a favore delle apparizioni. Il giudizio definitivo rimane in sospeso, in attesa dimaggiore studio e valutazione dei fatti».
 
Madonna delle Ghiaie di Bonate 2Oggi sono in molti ad auspicare e richiedere una riapertura delcaso: da quel maggio del 1944 il flusso di pellegrini al santuario dedicato alla Madonna della Famiglia non siè mai fermato, notte e giorno, sole o  pioggia, c’è sempre qualcuno in preghiera.
 
Molti invece ancora oggi non credono alle apparizioni e si dicono convinti che la devozione sia nata su una mistificazione. Nel corso deglianni la distanza fra queste due  posizioni si è fatta contrapposizione a tratti: da un lato chi accusa senza mezzi termini la chiesa di Bergamo di aver colpevolmente negato la verità delle apparizioni e vergognosamente negato l’operato meschino di don Cortesi, dall’altro chi difende in modo indefesso la stessa chiesa, giustificando con zelo einsistenza l’operato di tutti i sacerdoti che, condiverso grado e responsabilità, sisono occupati della vicenda.
 
 
 
E Adelaide? A 15 anni decide di consacrarsi con le suore Sacramentine di Bergamo, ma gli strascichi delle apparizioni le sono ancora di ostacolo tanto che è costretta a rinunciare. Così qualche anno dopo si sposa e decide di trasferirsi a Milano dove per una vita intera si dedica alla cura degli ammalati lavorando come infermiera.

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Adelaide Roncalli 4

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 Madonna delle Ghiaie di Bonate 32??????????“Regina della famiglia”


IL SEGRETO DI PAOLO – RISORTO CON CRISTO SI FA MISSIONARIO

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San Paolo 9

RISORTO CON CRISTO SI FA MISSIONARIO

Nel mondo sui sentieri di Cristo 

IL SEGRETO DI PAOLO

Introduzione  al convegno

p.  MARCELLO STORGATO, sx

Padre Marcello Storgato sxL’anno  scorso, pensando a come impostare il calendario 2009 di “Misisonari  Saveriani” sfruttando l’opportunità dell’anno paolino, ho  riletto tutto Paolo, dagli Atti degli apostoli alle lettere, pagina  per pagina. È stata una nuova scoperta del grande apostolo. Tra  l’altro, mi è venuta un’idea strana: san Paolo era un grande  campione olimpionico, un pluri sportivo. Era un maratoneta  (calcolando i viaggi che ha fatto si conta una media di 30 chilometri  al giorno!), faceva allenamento, s’intendeva di vela e di nuoto (come  naufrago, si è salvato perché sapeva nuotare), praticava la corsa  ad ostacoli e l’equitazione (qualcuno afferma che non sia mai caduto  da cavallo)…

Testimone, cioè “martire”

Ma qual è il segreto di Paolo? Lo scopriremo. Il suo segreto era quello di essere un grande missionario. E ogni missionario autentico è  “martire”. Non solo nel senso di “testimone” –  perché questo è il significato della parola “martire”. In  questo caso, martirio significa arrivare a donare la propria vita, a  morire per Cristo, per il vangelo, per l’umanità. Questo fenomeno si  è verificato molto spesso e in tanti luoghi nel corso bi-millenario  della storia missionaria.

Vi  propongo un esempio, attraverso un breve filmato sui 188 martiri  giapponesi, recentemente beatificati a Nagasaki. (qui trascrivo il  testo del filmato).

kagoshima-mappa

Saverio  e i martiri giapponesi

San Francesco Saverio, primo missionario a mettere piede in Giappone il  15 agosto 1549, è il padre e fondatore della chiesa nel Sol Levante.  Sollecitati dalle sue numerose lettere, altri missionari approdarono  in quella grande nazione e predicarono il vangelo, conquistando il  cuore di tanti uomini e donne, che sono diventati convinti seguaci di  Cristo. In mezzo secolo di evangelizzazione, il 5 per cento della  popolazione di allora aveva abbracciato la fede cristiana.

Il  Saverio aveva previsto che il cristianesimo in Giappone avrebbe  incontrato difficoltà e dure persecuzioni, per l’ostilità dei  monaci buddisti, le guerre di potere tra i prìncipi dei numerosi  feudi e la corsa sfrenata delle nazioni europee alla conquista di  nuovi commerci.

Infatti,  il “secolo cristiano” del Giappone si tramutò in “secolo  dei martiri”. Decine di migliaia di cristiani – uomini, donne e  bambini di ogni età – hanno subìto il martirio appesi alla croce,  decapitati, bruciati, gettati nelle solfatare incandescenti. Una vera  “caccia al cristiano”, per cancellare ogni traccia di  cristianesimo, definito “religione malvagia”.

I  missionari furono espulsi; pochi riuscirono a restare, clandestini,  per seguire e incoraggiare le comunità cristiane perseguitate. Tra  loro, il gesuita bresciano padre Organtino, nato a Casto e morto a  Nagasaki nel 1609, denominato “il secondo padre della  cristianità giapponese” e guida spirituale di numerosi martiri.
Il  24 novembre 2008, a Nagasaki, la chiesa giapponese ha proclamato  “beati” altri 188 cristiani che quattro secoli fa donarono  la vita per restare fedeli al vangelo di Cristo. I martiri giapponesi  ufficialmente riconosciuti e venerati salgono così a 437, tra i  quali i 26 martiri di Nagasaki, uccisi il 5 febbraio 1597 e  proclamati santi da Pio IX nel 1862.

Ben  183 dei nuovi beati martiri sono laici, di cui 60 donne, 33 giovani  sotto i vent’anni e 18 bambini con meno di cinque anni. Intere  famiglie subirono il martirio, come la famiglia Ogasawara di  Kumamoto: papà, mamma, nove figli e quattro garzoni. O la famiglia  Hashimoto di Kyoto: papà, mamma e cinque figli, arsi vivi, legati  alle croci lungo il fiume Kamogawa. Mamma Tecla, legata alla stessa  croce con Tommaso e Francesco, di 12 e 8 anni, e in braccio la  piccola Luisa di 3, pregava: “Signore Gesù, ricevi le anime di  questi bambini”.

Nel  libro “Giappone, il secolo dei martiri”, possiamo leggere i  drammatici e commoventi racconti del martirio della chiesa  giapponese. La mitezza e la gioia, che caratterizzano i suoi martiri,  scaturivano dall’Eucaristia, dalla preghiera e dall’amore per Cristo  Salvatore.

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Cattedrale di Kagoshima – Reliquia ossea di San Francesco Saverio

Saverio,  il migliore imitatore di Paolo

Vi  ho portato indietro in un pezzo di storia di 400 anni fa. Che senso  ha? Cosa voglio comunicarvi? Che quello che ha fatto Paolo si è  ripetuto nella storia della missione, nella storia dell’annuncio  del vangelo. Francesco Saverio è stato uno dei migliori imitatori di  Paolo, non solo nell’annuncio del vangelo ai pagani, cioè a coloro  che non sapevano nemmeno che Cristo fosse esistito, che non avevano  mai sentito la parola del vangelo.

Francesco  è partito all’improvviso senza sapere perché, solo per sostituire  un altro che si era improvvisamente ammalato. Si è fidato di Dio,  che lo chiamava attraverso una circostanza casuale ed è partito.  Era l’anno 1549. Con i mezzi di allora, ha percorso quello che nessun  altro missionario ha mai percorso nella storia della missione. È  passato in India, in Malesia, nelle Molucche, nell’isola del  Moro, spingendosi fino in Giappone.

San Francesco Saverio - Isola di Sancian dove è morto

Il luogo dove è sbarcato Francesco Saverio

Aveva  dei metodi banali, semplici: richiamava la gente con un campanello,  imparava a memoria brani del vangelo, le preghiere, le domande e  risposte del catechismo, le ripeteva e le faceva cantare alla gente e  ai bambini… Ma arrivato in Giappone, si accorge che ciò non basta,  che i giapponesi sono un popolo “colto”; e cambia metodo.

Mi  viene in mente Paolo ad Atene, allora capitale della cultura. Qui  Paolo ha cambiato il suo metodo missionario. Dicono che il discorso  all’areopago sia stato il suo più grande fallimento, che abbia  sbagliato approccio. Non è vero. Il suo discorso, dopo aver visitato  la città e aver esaminato le persone, è uno dei più begli approcci  della missione inculturata. I risultati dipendono da altre cose:  dalla predisposizione interiore delle persone ad accogliere.

Come  Paolo ad Atene, anche Saverio in Giappone si è convertito alla  cultura, cambiando il suo metodo missionario di annuncio del vangelo.  La missione è così: tiene sempre presente il contesto, le  situazioni, le persone, le culture: perché lo stesso vangelo arriva  dove lo Spirito ha già lavorato e preparato l’umanità per secoli e  millenni. La missione non è mai una ripetizione meccanica di parole  e di azioni.

Gesù  stesso ha annunciato la Buona Novella in molti modi. Le quattro versioni evangeliche ci autorizzano a moltiplicare le versioni  dell’unico vangelo, a seconda delle situazioni che cambiano nei tempi  e nei luoghi. Perché al centro c’è sì Cristo, ma c’è anche la  persona umana nel contesto della sua cultura e del suo popolo.

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La  verifica della fede cristiana 

Tanti  giapponesi avevano accolto con gioia il vangelo di Cristo, portato  dal Saverio e da altri missionari. Ma sono stati i cristiani stessi a  diffondere la fede nelle famiglie attraverso le “confraternite”:  con la carità, l’insegnamento e la preghiera.

Finché  nel 1587 arrivano i decreti di espulsione per tutti i missionari, cui  segue nel 1597 il martirio di Nagasaki e il divieto di aderire al  cristianesimo. La fede cristiana è dichiarata “religione  malvagia” e scatta la persecuzione di massa: croce,  decapitazione, rogo, torture, abiura…

Ai  cristiani viene imposta la verifica annuale della fede! Una bella  idea! Voi giovani, sareste disposti a sottoporvi a una verifica  annuale della fede cristiana? Ma anche a noi adulti, a noi sacerdoti  e missionari farebbe bene verificare la nostra fede ogni mese, ogni  giorno…

Solo  che in Giappone la verifica veniva fatta dagli aguzzini, per essere  sicuri che i cristiani rinunciassero a Cristo e abbandonassero la  loro fede “malvagia”. La verifica consisteva nel calpestare  un’immagine sacra. Molti sono morti per questo; molti altri  adottano uno stratagemma: arcuano il piede in modo da non calpestare  la sacra immagine; percorrono poi la strada del ritorno con il piede  arcuato, in punta di piedi e di tallone. A casa si lavano i piedi e  in segno di penitenza bevono l’acqua, perché quella polvere e il  riflesso dell’immagine, entrando nel corpo, purifichi anche  l’anima.

Kagoshima 9  - Chiesa Cattedrale - S.Francesco Saverio

Pronti  a tutto per il vangelo

Tra  i cristiani era molto diffuso il libro, “Preparazione al martirio”.  Nella storia cristiana, la chiesa giapponese è stata l’unica ad  avere un catechismo per “prepararsi al martirio”. Nessuno  desiderava essere ammazzato, ma la situazione era tale da richiedere  una preparazione speciale. Cristo doveva sparire dal suolo giapponese  e i suoi seguaci dovevano rinnegare la fede o morire. Quale  soluzione, se non prepararsi al martirio? Anche Paolo aveva previsto  “catene e tribolazioni” ed era sempre pronto a “terminare  la corsa testimoniando il vangelo” (Atti 20, 22-24).

È  un insegnamento per noi tutti. Abbiamo il dovere di annunciare Colui  in cui crediamo: Gesù e il suo vangelo. Ma oggi non è facile. Sono  convinto che in Italia oggi, e ancor più nei prossimi decenni, se  vogliamo rimanere cristiani ed essere missionari dobbiamo prepararci  al martirio.

Cosa  facciamo noi davanti alla campagna dell’ateismo o davanti a chi se  ne frega del vangelo e della chiesa? Cosa facciamo con tanti giovani  che fin dall’età adolescenziale abbandonano e rifiutano ciò che  hanno imparato? Cosa offriamo ai tanti fratelli e sorelle immigrati  di altra fede e cultura? Se abbiamo la convinzione di aver ricevuto  un dono immenso – Gesù Cristo – non possiamo non offrirlo a tutti,  con gioia e amore.

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Leggiamo  Paolo, direttamente alla fonte

San Paolo e il kerigmaÈ  arrivato il momento di leggere Paolo. È un invito: provate a  leggerlo tutto, dagli Atti alle Lettere: ne resterete affascinati!  Per ora, ci accontentiamo dei primi due capitoli della lettera di  Paolo ai Galati (Gal 1,1-2,10).

1,1  Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per  mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti,  2 e tutti i fratelli che sono con me, alle chiese della Galazia. 3  Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù  Cristo, 4 che ha dato se stesso per i nostri  peccati,
per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e  Padre nostro, 5 al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

6  Mi meraviglio che così in fretta da Colui che vi ha chiamati con la  grazia di Cristo passiate a un altro vangelo. 7 In realtà, però,  non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e  vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. 8 Orbene, se anche noi  stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da  quello che vi abbiamo predicato, sia anatema! 9 L’abbiamo già detto  e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello  che avete ricevuto, sia anatema!

10  Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o  non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se  ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!  11 Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non  è modellato sull’uomo; 12 infatti io non l’ho ricevuto né l’ho  imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.

13  Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo  nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la chiesa di Dio e la  devastassi, 14 superando nel giudaismo la maggior parte dei miei  coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni  dei padri. 15 Ma quando Colui che mi scelse fin dal seno di mia madre  e mi chiamò con la sua grazia, si compiacque 16 di rivelare a me suo  Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza  consultare nessun uomo, 17 senza andare a Gerusalemme da coloro che  erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a  Damasco. 18 In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per  consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; 19 degli  apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del  Signore.

20  In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. 21  Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia. 22 Ma ero  sconosciuto personalmente alle chiese della Giudea che sono in  Cristo; 23 soltanto avevano sentito dire: «Colui che una volta ci  perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva
distruggere». 24 E glorificavano Dio a causa mia.

2,1  Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di  Barnaba, portando con me anche Tito: 2 vi andai però in seguito a  una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani,  ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non  trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano. 3 Ora neppure  Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi  circoncidere. 4 E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si  erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù,
allo scopo di renderci schiavi. 5 Ad essi però non cedemmo, per  riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo  continuasse a rimanere salda tra di voi.

6  Da parte dunque delle persone più ragguardevoli – quali fossero  allora non m’interessa, perché Dio non bada a persona alcuna – a me,  da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più. 7  Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non  circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi – 8 poiché Colui  che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva  agito anche in me per i pagani – 9 e riconoscendo la grazia a me  conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a  me e a Barnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi  andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi. 10 Soltanto ci  pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio  preoccupato di fare.

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Organo cattedrale di Kagoshima

Può  cambiare il vangelo?

Questo  è Paolo! Che ve ne pare? È davvero un grande uomo. Vi rilancio  alcune delle frasi che abbiamo ascoltato.

Si  rimprovera al papa, ai vescovi e alla chiesa di continuare con la  stessa predicazione, nonostante i tempi siano cambiati: “…Non  capisce la chiesa che adesso la gente pensa in altro modo, ha altre  esigenze, fa il cavolo che vuole…; genera, abortisce, fa sesso,  ammazza, ama gli animali più degli uomini…; non capisce che il  mondo è cambiato?!”.

Non  c’è un altro vangelo”: c’è un vangelo che si incultura, si  manifesta, vive e traspira in mille modi; ma un vangelo diverso non  c’è. E questo vangelo non “è modellato sull’uomo”; non è  modellato su quello che la maggioranza della gente fa o dice, perché  questo vangelo non l’abbiamo ricevuto da uomo, ma è rivelato da
Dio. È il vangelo di Gesù Cristo ed è questo che va annunciato.  Non può essercene un altro.

Un  missionario che litiga…

Poi  c’è la duplice direzione (sempre chiara negli Atti degli apostoli  e nelle lettere di Paolo), ma qui è espressa in modo diretto e  immediato: tutti hanno il diritto di ascoltare il vangelo e tutti i  discepoli di Gesù hanno il dovere di annunciarlo. Lo si può  annunciare ai circoncisi, a coloro che credono in un Dio unico, a
coloro che credono in Cristo e appartengono già alla chiesa, e va  benissimo. Ma, dice Paolo, “lo stesso Signore mi ha incaricato di  annunciare lo stesso vangelo ai pagani, a coloro che non credono, a  coloro che non lo conoscono, a coloro che non sono ancora discepoli.
E su questo punto ho dibattuto fino a litigare con Cefa, perché  accettasse che io ero stato destinato ai non cristiani, fino a quando  non ci siamo dati la mano della comunione”.

Nessuno  deve meravigliarsi se ancora oggi la chiesa missionaria si lamenta e  protesta. Dovrebbe lamentarsi di più, protestare di più, litigare  di più…; perché la chiesa non è soltanto la chiesa romana,  italiana, occidentale e ricca. La chiesa di Cristo non funziona così.  Le nuove chiese, le chiese missionarie  sono  le madri che creano il futuro del vangelo. Le chiese antiche vanno  rispettate, ma sono chiamate ad accogliere a valorizzare il nuovo che  viene: non per altri motivi, ma perché è il vangelo che lo  richiede.

Un  altro aspetto interessante: quando Paolo va a Gerusalemme per parlare  della sua esperienza missionaria, non lo fa in piazza, con tutti e  chiunque; non vuole fama né crearsi un nome. Parla con persone
oculate, che abbiano buon senso, che sappiano comprendere e  discernere il futuro del vangelo e della missione. Perché ci sono  degli altri (falsi fratelli), anche nella chiesa e anche tra noi  oggi, che s’intromettono “a spiare la libertà che abbiamo in  Cristo Gesù allo scopo di renderci nuovamente schiavi”. Avete mai  letto queste parole di Paolo, con il senso che hanno? Paolo è furbo.  Così deve fare ogni discepolo assennato.

Paolo di Tarso

Prima  l’annuncio, poi la carità

Tutto  il discorso di Paolo verte sull’annuncio dell’unico vangelo di  Gesù Cristo. Questa è la missione. Come missionari sbagliamo quando  continuiamo a dire che abbiamo bisogno di soldi, di medicine, di  attrezzature… per fare questo o quello. È vero, Gesù ha fatto  tantissimo, ma non è il “fare” che rende reale e valida la  missione. È solo l’annuncio di Gesù Cristo: far conoscere e  incontrare quest’Uomo che ci rende liberi, capaci di crescere fino  alla pienezza della gioia nella massima condivisione.

E  poi sì, la missione è anche carità operosa: “soltanto ci  pregarono di ricordarci dei poveri; ciò che mi sono proprio  preoccupato di fare”. Tuttavia, non come primo impegno della  missione, ma solo come manifestazione e prova che la nostra fede e  testimonianza del vangelo è reale e concreta. Solo così è giusto  ricordarci dei poveri, non solo con qualche offerta o sacrificio, ma  con la condivisione, con la battaglia per la giustizia, per l’equità,  per l’onesta anche a livello finanziario, politico ed economico.

Facciamoci  affascinare e guidare da Paolo

1-DSC02654Camminiamo  insieme, cari giovani, facendoci guidare da Cristo, dal vangelo e da  Paolo, che ha interpretato in modo mirabile il vangelo, validissimo e  urgentissimo anche oggi. Lasciamoci affascinare da quest’uomo, che  ci farà intuire qual è stato il suo grande segreto. Ricordiamo il  suo avvertimento: “alcuni vogliono sovvertire il vangelo di  Cristo, ma non c’è un altro vangelo”; e il vangelo autentico  “non è modellato sull’uomo, ma su Gesù Cristo che ce l’ha  rivelato”.

Paolo-Miki-e-compagni


“CHI METTE MANO ALL’ARATRO E POI SI VOLTA INDIETRO…”

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Lot

Studiando la conversione di San Giovanni di Dio di cui parla la prima biografia di Francesco de Castro, molto sobria e priva di ogni pia esagerazione, sono incappato in un tema che può mettere in crisi le coscienze, aprire vecchie ferite, accentuare i sensi di colpa. E’ l’affermazione Evangelica:  “Chi si mette all’aratro e poi si volta indietro non è adatto per il regno di Dio” (Lc 9,62)

DA DOVE INIZIARE ?

Per mettere mano alla nostra vita e trovare la serenità, da dove iniziare? Qual è il primo passo?

sanpaolo_rOccorre stare attenti a porre le domande nel modo corretto. Per avere la risposta giusta bisogna porre la domanda giusta. Domandarci quale debba essere il primo passo, è pregiudizievole: si dà per scontato che ci sia un primo passo. Meglio domandarsi da dove iniziare. La risposta dell’apostolo Paolo potrebbe sorprenderci:

Faccio una cosa sola: dimentico quel che sta alle mie spalle e mi slancio verso quel che mi sta davanti. – Fil 3:13.

Pare che molte persone credano che occorra esplorare la propria vita passata alla ricerca di traumi psicologici, di condizionamenti e di chissà che altro. Lunghe sedute che si protraggono per anni distesi forse su un lettino. E poi?

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Per iniziare quello che comunemente viene definito un percorso psicologico verso la propria realizzazione, non c’è un primo passo da fare; certamente non c’è da fare un passo indietro. Guardare indietro non cancella il passato ma lo rende di nuovo presente. Acqua passata non macina più, recita un proverbio popolare. Ponendo la nostra attenzione sul passato si rischia di fossilizzarsi. “La moglie di Lot si voltò indietro a guardare e divenne una statua di sale”. – Gn 19,26.

Stando qui e orahic et nunc, per dirla con i latini; ועכשיו כאן (kan veachshàv), per dirla in ebraico – è il momento di guardare avanti senza voltarsi indietro.

Avanti

Se ci pensiamo, ci accorgiamo che la nostra storia occupa tutto il nostro spazio mentale. È un continuo rimuginare. Anziché essere liberi, ci ingabbiamo nel circolo vizioso che la nostra mente evoca e che si autoalimenta. “Lascia perdere, non ti inquietare, non tormentarti: ne avrai solo danno”. – Sal 37,8.

Rimuginando e rimanendo concentrati e ripiegati su se stessi, si offusca la percezione della realtà. Accade che ciò che ci sta intorno e perfino la nostra vera essenza perdano nitidezza e sullo schermo della nostra mente vengono messe a fuoco immagini di vecchi film, mentre la vita attuale, quella vera e reale, si sfuoca. Si hanno allora in primo piano solo pensieri ancorati al passato.

Potrebbe trattarsi di rimpianti. Mentre attraversavano il deserto dopo la liberazione dalla dura schiavitù egiziana, gli israeliti erano presi dal rimpianto e rimuginavano tra loro: “Vi ricordate quel che mangiavamo in Egitto? Senza spendere un soldo avevamo pesce, angurie, meloni, porri, cipolle e aglio!” (Nm 11:5). Paolo, che sapeva guardare avanti, non aveva rimpianti: “Tutte queste cose che prima avevano per me un grande valore, ora che ho conosciuto Cristo, le ritengo da buttar via. Tutto è una perdita di fronte al vantaggio di conoscere Gesù Cristo. – Fil 3, 7-8.

Il passato è una zavorra.

Potrebbe trattarsi di rimorsi. I fratelli di Giuseppe, che erano stati gelosi di lui e lo avevano venduto come schiavo per liberarsene, avevano ancora rimorsi dopo essere stati perdonati e rimuginavano: “’Ora Giuseppe potrebbe incominciare a trattarci male, dicevano, vorrà vendicarsi di tutto il male che gli abbiamo fatto” (Gn 50:15). Da parte sua, commosso, “Giuseppe si mise a piangere” (v. 17). Mantenendo i loro pensieri ancorati al passato, non si rendevano conto della realtà attuale. Il passato non contava più.

Potrebbe trattarsi di rabbia covata. Se i pensieri rimangono ancorati a momenti passati che sono fatti rivivere al presente, tali pensieri possono sconvolgere la mente al punto che la persona non è più in grado di ragionare con logica. “Chi è irascibile mostra stoltezza. Mente equilibrata è vita per il corpo, la gelosia è come un tumore per le ossa” (Pr 14:29,30). Tali pensieri assurdamente radicati in un passato che non esiste più possono innescare risposte psicosomatiche: ipertensione, alterazioni arteriose, difficoltà respiratorie, disturbi di fegato, alterazione della secrezione biliare con incidenza sul pancreas; possono provocare o aggravare asma, disturbi agli occhi, malattie della pelle, orticaria, ulcere, mal di denti e cattiva digestione. Anche la rabbia verso se stessi fa perdere di vista la realtà oscurandola con tinte fosche. E tutto per cosa? Per fatti che non esistono più e che scegliamo di rivivere?

Non si può cancellare deliberatamente qualcosa dalla memoria, è vero. Dimentichiamo molte cose che vorremmo ricordare ma ricordiamo molte cose che vorremmo dimenticare. Tuttavia, perché evocarle? Siamo noi a scegliere i pensieri e se la mente ci propone quelli che bene non ci fanno, possiamo scegliere di non indugiare su di essi. “Vigila sui tuoi pensieri: la tua vita dipende da come pensi”. – Pr 4:23.

Quando Paolo disse: “Faccio una cosa sola: dimentico quel che sta alle mie spalle” (Filp 3:13), non voleva dire di aver in qualche modo cancellato il passato dalla mente. È ovvio che ricordasse ancora le cose del passato (tra l’altro, le aveva appena menzionate). Nel testo greco originale Paolo dice ἐπιλανθανόμενος (epilanthanòmenos): “dimenticante” o, messo in buon italiano, “dimenticando”. Il verbo che Paolo usa è ἐπιλανθάνομαι (epilanthànomai), che significa sì “dimenticare”, ma con la sfumatura di “trascurare / non avere più cura di”. In pratica, Paolo non pensava in continuazione alle cose cui aveva rinunciato. Se gli venivano alla mente, non se ne curava, le trascurava, non le coltivava rimuginandole. Il passato lui lo considerava “una perdita [ζημίαν (zemìan), “un danno”]”, “cose da buttar via” (Flp 3:8); per dirla con il suo linguaggio forte, σκύβαλα (skǘbala), “rifiuti”, “spazzatura”.

È davvero venuto il momento di smettere di preoccuparci di quel che sta alle spalle, del passato. “Chi si mette all’aratro e poi si volta indietro non è adatto per il regno di Dio (Lc 9:62). Nella prospettiva del Regno, “Non si ricorderà più il passato, non ci si penserà più. – Is 65:17.

E se siamo oppressi da sensi di colpa che occupano la nostra mente e ci impediscono di vivere? Dio promette: “Io perdonerò le loro colpe, e non mi ricorderò più dei loro peccati”. – Eb 8:12; cfr. 10:17.

Nella sua mentalità positiva, Paolo si vede come un corridore proteso in avanti: “Continuo la mia corsa” (Filp 3,14). Si è mai visto un corridore fermarsi e guardarsi indietro? “Dal punto al quale siamo giunti, continuiamo ad andare avanti”. – Filp 3,16.

Quando si permette ai pensieri di indugiare sul passato, la mente è lì; non si è più al presente, ma al passato. Da quel punto di vista passato, da quella situazione, il futuro appare offuscato. E non solo. Bloccati nel passato, il futuro diventa l’immancabile ripetizione dei soliti stessi identici errori.

Oggi

Nell’atteggiamento mentale ancorato al passato, ci sono due cose che non vanno:

  1. Il passato non esiste più. È andato, finito, cessato, scomparso. Estinto. Perché mai cercare di tenere in vita un cadavere? Lasciamo porri, cipolle e aglio d’Egitto dov’erano. Occupiamoci di essere vivi, non di diventare statue di sale.

  2. Il secondo errore è quello di identificarci col nostro passato, di credere che noi siamo quel modo d’agire che tanto ci ha fatto star male. Ma quel passato è morto. Se lo teniamo mentalmente in vita, pregiudichiamo il futuro e teniamo la mente intasata di cose morte.

È tempo di liberarci della zavorra. Adesso. Oggi. Qui. Ora. “Dio stabilisce di nuovo un giorno chiamato oggi”. – Eb 4,7.

Voce del signore“Oggi, se udite la voce di Dio, non indurite i vostri cuori” Sal 93



“LASCIA CHE TI CHIAMI, BABBO…”– Gemma Galgani

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Se qualcuno mi chiede una preghiera, comincio così:
Gesù ti prego, concedi a…
la misericordia che hai usato con me
“.

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SOSS – BERGAMO – Suor Rosanna (sorella d’orazione) per una consorella…

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5-Rosanna Pirulli 76SOSS – Silenziosi Oranti Solidali Sorridenti

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Suor Rosanna (il primo GLOBULO ROSSO che ha pregato per noi) mi ha fatto sapere di una consorella quarantanovenne, Suor Elena, che ha un tumore ai polmoni.

Di santi è popolato il Cielo,  ma quale invocare come intercessore?

Io avrei un quartetto a portata di mano (appena elaborato): da sinistra, San Riccardo Pampuri, San Benedetto Menni, San Giovanni di Dio, San Giovanni Grande, tutti santi ospedalieri.

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Ma le sorelle hanno la Fondatrice, Madre Provvidenza, morta un decennio fa e che necessita di un miracolo per la beatificazione :

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Madre Provvidenza era cieca (non dalla nascita) e, tra una fondazione maschili e femminili e l’altra, ha passato una vita di grande sofferenza, offerta per i sacerdoti.

http://www.sehaisetediluce.it/madre_provvidenza.html

Di un miracolo non ne siamo degni ma possiamo chiederlo “non per i nostri meriti ma per la fede della Tua Chiesa”, come diciamo nella Messa. Così noi, sulla parola di Gesù, che non è avaro e ci sollecita a chiedere, osiamo domandare la guarigione…con le parole che solo il suo Spirito sa come formulare.

VIENI, SPIRITO SANTO, VIENI PER MARIA !

Santa Maria dei nodi

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2 Composto dopo la visita del profeta Natan a Davide, il quale aveva avuto una relazione con Betsabea.

3Pietà di me, o Dio, nel tuo grande amore;
nella tua misericordia cancella il mio errore.
4Lavami da ogni mia colpa,
purificami dal mio peccato.

5Sono colpevole e lo riconosco,
il mio peccato è sempre davanti a me.

6Contro te, e te solo, ho peccato;
ho agito contro la tua volontà.
Quando condanni, tu sei giusto,
le tue sentenze sono limpide.
7Fin dalla nascita sono nella colpa,
peccatore mi ha concepito mia madre.
8Ma tu vuoi trovare dentro di me verità,
nel profondo del cuore mi insegni la
sapienza.

9Purificami dal peccato e sarò puro,
lavami e sarò più bianco della neve.
10Fa’ che io ritrovi la gioia della festa,
si rallegri quest’uomo che hai schiacciato.
11Togli lo sguardo dai miei peccati,
cancella ogni mia colpa.

12Crea in me, o Dio, un cuore puro;
dammi uno spirito rinnovato e saldo.
13Non respingermi lontano da te,
non privarmi del tuo spirito santo.
14Ridonami la gioia di chi è salvato,
mi sostenga il tuo spirito generoso.

15Ai peccatori mostrerò le tue vie
e i malvagi torneranno a te.
16Liberami dal castigo della morte, mio Dio,
e canterò la tua giustizia, mio Salvatore.
17Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca canterà la tua lode.
18Se ti offro un sacrificio, tu non lo gradisci;
se ti presento un’offerta, tu non l’accogli.
19Vero sacrificio è lo spirito pentito:
tu non respingi, o Dio, un cuore abbattuto
e umiliato.

20Dona il tuo amore e il tuo aiuto a Sion,
rialza le mura di Gerusalemme.
21Allora gradirai i sacrifici prescritti,
le offerte interamente consumate:
tori saranno immolati sul tuo altare.

Carlo Maria Martini


GESU’ IL MALATO E LA FAMIGLIA – Luciano Manicardi

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Traaduzione del testo latino di don Remo Bistoni – Perugia

  1. Alla Croce del Signore c’è la Madre nel dolore mentre il figlio muore.
  2. Incurante della gente nel suo intimo fremente ha una spada in cuore.
  3. La tristezza e l’afflizione non avranno paragone nel destino umano.
  4. Quel di Cristo è duro letto e chi muore è il più perfetto: tese a noi la mano.
  5. Chi osservando il grande dramma, di quel figlio e di tal mamma può restare inerte?
  6. Goccia sangue dalla testa Maria bagna la sua vesta da ferite aperte.
  7. Pensa al popolo ribelle che la sconta sulla pelle del suo Figlio mite.
  8. Lo ricorda bambinello sul presepio e sul tinello della lor dimora.
  9. Or s’accorge che il suo figlio, membra bianche come il giglio, è all’estrema ora.
  10. Madre cara dell’amore facci soci al tuo dolore, spezza il cuore duro,
  11. Facci ardere di fede scuoti il petto a chi non crede, crolli l’erto muro.
  12. Santa Madre ti preghiamo quelle piaghe le vogliamo per unirci a Voi.
  13. Il tuo figlio si ferito che s’è offerto, che ha patito sa che siamo suoi.
  14. Per il resto della vita l’alma nostra resti unita alla sua Passione.
  15. Madre, ascolta questa voce stringi tutti a quella croce: abbi compassione.
  16. Quella morte e quelle pene percorrendoci le vene son divino innesto.
  17. Per la santa redenzione una vera conversione giunga al cuore, presto.
  18. Dal pericolo supremo per te salvi un dì saremo se ci copre il manto.
  19. Il Risorto e il suo sorriso ci assicuri il paradiso nell’eterno canto.
    Amen.

Stabat Mater 06L’odierna liturgia della MATER DOLOROSA è un buon motivo per affrontare un tema altrettanto doloroso che si vive e si consuma nel silenzio di tante delle nostre case, senza i riflettori accesi sui drammi sia di chi è colpito da malattia che dai familiari che ne sono partecipi. 

Non potendo far altro che guardare al mistero della Croce e innestare il nostro dolore in quello di Maria, sarà proprio lei a darci una mano nella sopportazione della “passione”, grande o piccola che sia, mai disgiunta dalla “Passione” del Cristo benedetto.

Luciano Manicardi, Monaco di Bose, esperto nella materia, ci porta a riflettere  sul vangelo di Marco 9,14-27

Il brano del Vangelo di Marco

uomo posseduto14 E giunti presso i discepoli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro. 15 Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. 16 Ed egli li interrogò: “Di che cosa discutete con loro?”. 17 Gli rispose uno della folla: “Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. 18 Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti”.

19 Egli allora in risposta, disse loro: “O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me”. 20 E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando. 21 Gesù interrogò il padre: “Da quanto tempo gli accade questo?”. Ed egli rispose: “Dall’infanzia; 22 anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci”.

23 Gesù gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”. 24 Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: “Credo, aiutami nella mia incredulità”. 25 Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: “Spirito muto e sordo, io te l’ordino, esci da lui e non vi rientrare più”. 26 E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: “È morto”. 27 Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.

 

Un genitore porta a Gesù il proprio figlio malato (Mc 9,17). La malattia di una persona ha sempre ripercussioni sul suo ambito familiare. E quando la malattia è particolarmente grave e quando colpisce un figlio, e un figlio piccolo, che non capisce che cosa gli succede, non sa nominare il suo male, non comprende perché papà e mamma non gli facciano passare il male, il dolore e l’angoscia dei genitori aumentano esponenzialmente, e giungono anche alla disperazione.

Gesù non ha solo curato e guarito persone malate, ma si è confrontato anche con l’angoscia dei familiari che dalla malattia di un loro congiunto hanno visto sconvolto l’ordine delle loro giornate e il quadro dei loro affetti e sono precipitati in un abisso di impotenza e dolore.

La malattia di un familiare, soprattutto se cronica e pesante, produce a sua volta sofferenza, malessere, disagio, e perfino altre malattie nell’ambito familiare. Oltre, a volte, allo sfinimento psichico o anche all’impossibilità fisica di accudire un malato non autosufficiente.

Il padre di questo ragazzo dice a Gesù: “Aiutaci e abbi compassione di noi” (Mc 9,22). Dove il “noi” si riferisce all’intero nucleo familiare turbato dalla malattia del giovane che comportava un’incapacità di comunicazione con lui (è infatti “posseduto da uno spirito muto”: Mc 9,17; anzi questo spirito è apostrofato da Gesù come “spirito muto e sordo”: Mc 9,25) e il senso di una lacerante impotenza di fronte alle manifestazioni epilettiche in cui il ragazzo era in balia di forze oscure che lo violentavano mettendo anche a rischio la sua vita. L’angoscia e la disperazione del padre emergono nel racconto delle manifestazioni della malattia: “Spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo” (Mc 9,22). Il racconto del povero padre rivive la paura vissuta nei momenti in cui il figlio ha rischiato di annegare o di venire gravemente ustionato. E Gesù incontra dunque anche questa forma dell’infinita gamma del dolore umano: il dolore del padre e della madre di fronte al figlio sofferente. Un dolore che a volte diviene colpevolizzazione. Davanti all’uomo cieco dalla nascita, i discepoli di Gesù chiedono: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?” (Gv 9,1). E Gesù deve combattere anche contro le credenze popolari, le superstizioni, i luoghi comuni e le scorciatoie creati dalla cultura e dalla religione per spiegare l’inspiegabile inventando un colpevole, invece di stare accanto a colui che è solo una vittima.

I vangeli presentano più volte situazioni di madri e padri in ricerca disperata e, al tempo stesso, piena di speranza, di guarigione di un loro figlio. Giairo si getta ai piedi di Gesù e lo prega con insistenza, l’insistenza che viene dalla disperazione: “La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva” (Mc 5,22-23); una donna greca, di origine siro-fenicia, prega Gesù di scacciare il demonio che possiede la figlia: anche la distanza culturale, etnica (lei è una pagana, mentre Gesù è un figlio d’Israele) e linguistica (questa donna parla greco: in che lingua comunicano lei e Gesù, che parlava aramaico?) non scoraggiano questa donna che ha una motivazione troppo impellente per desistere dalla sua ricerca (Mc 7,24-30).

Soprattutto le madri, angustiate da una grave situazione di salute di un figlio, sono mosse come da una forza supplementare nell’incontro con Gesù e trovano in sé risorse di intelligenza, di tenacia, di ostinazione che riescono a vincere le opposizioni del gruppo dei discepoli e anche le resistenze di Gesù. È così per la donna cananea la cui figlia è in preda a terribili sofferenze (“Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio”: Mt 15,22) e che dopo una vera lotta con Gesù per ottenere la sua attenzione si sentirà dire da lui: “Donna, davvero grande è la tua fede. Ti sia fatto come desideri” (Mt 15,28). Perché la malattia di un familiare è anche una prova della fede.

Quante famiglie conoscono il pellegrinaggio da un medico all’altro, da uno specialista all’altro, da un ospedale a una clinica, in patria e all’estero, per trovare una cura per il proprio figlio o il proprio congiunto! Quante famiglie conoscono il peso emotivo, lo sfinimento, la stanchezza che non ci si spiega come non abbia ancora fatto crollare, della ricerca di una medicina, di una cura. E quante famiglie conoscono il peso della cronicità, della malattia cronica, pesantissima nell’anziano, ma dolorosamente lancinante quando si tratta di un bambino malato fin dalla più tenera età. Gesù è sensibile a questi aspetti quotidiani della malattia vissuta in famiglia e chiede al padre del ragazzo: “Da quanto tempo gli accade questo?” (Mc 9,21). E il padre risponde: “Dall’infanzia” (Mc 9,21). E quante famiglie conoscono anche il peso economico che tutto questo ha, arrivando a gravare in maniera a volte insostenibile sui bilanci familiari. La donna che da ben dodici anni era affetta da emorragie “aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi peggiorando” (Mc 5,25-26).

Anche il padre del ragazzo epilettico porta a Gesù la sua frustrazione per i limiti della medicina e per l’impotenza che altri, in questo caso i discepoli di Gesù, hanno mostrato nei confronti del figlio: “Non sono stati capaci” (Mc 9,18) di guarirlo. La stessa supplica del padre a Gesù: “Se tu puoi qualcosa, aiutaci” (Mc 9,22), echeggia la domanda che si rivolge a un medico dopo che tanti altri tentativi sono andati a vuoto e dopo che si è constatata l’estrema gravità del caso.

Ma nella risposta di Gesù al padre (“Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”: Mc 9,23) abbiamo anche l’indicazione che la malattia di un familiare, in questo caso di un figlio, è una prova della fede, un momento critico che mette alla prova la fede di una persona, e che il cammino che si vive drammaticamente nella famiglia provata da una malattia è anche un cammino di approfondimento della fede.

Momento importante nell’incontro di Gesù con questo padre è quello in cui Gesù chiede ragguagli al padre sulla malattia del figlio e il padre collabora con lui narrando forme e tempi della manifestazione del male nel figlio. Vi è un innesto biografico e familiare della malattia, e comunque sono i familiari coloro che sono a diretto contatto con il malato e dunque hanno una competenza preziosa: essi possono, con il loro racconto, fornire elementi e dettagli, moti e reazioni del malato che il terapeuta può interpretare e ricavarne così indicazioni utili per la cura.

Certo, il familiare del malato deve armarsi di pazienza. L’incontro di Gesù con il ragazzo malato e il padre è molto complesso e lungo: due volte il padre racconta le crisi del figlio (Mc 9,18.22), due volte Gesù dialoga con il padre (Mc 9,17-19 e 21-24), i suoi interventi terapeutici sono contro lo spirito impuro (Mc 9,25-26a) e poi per il ragazzo (Mc 9,26b-27). E dal quadro d’insieme emerge la condizione veramente penosa di questo ragazzo: sempre passivo (agitato, scosso, gettato a terra, condotto a Gesù da altri), non ha capacità di movimento autonomo e di iniziativa propria, è alienato, spossessato di sé, incapace di relazione perché sordo e muto, non padrone del proprio corpo, dunque con gravissimi problemi a posizionarsi nello spazio, ma colpito anche nella facoltà di comunicazione e parola.

La bocca è colpita nelle sue due facoltà di nutrizione e parola: lo schiumare (Mc 9,18) indica difficoltà e irregolarità di deglutizione, mentre il digrignare i denti (Mc 9,18) rinvia all’incapacità di parola. Ci si può chiedere cosa resti di umano in questo ragazzo. L’azione terapeutica di Gesù condurrà il giovane a iniziare il recupero della voce e della parola (come appare dal grido che accompagna l’uscita dello spirito impuro dal giovane: Mc 9,26) e consisterà nel ridargli la stazione eretta (“presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi”: Mc 9,27). Quell’alzarsi in piedi è la prima vera azione di cui il giovane è soggetto.

Ma vorrei sottolineare le condizioni penose del giovane e il riflesso che questo deve avere nella psiche e negli affetti dei genitori che sul figlio proiettano attese facendolo depositario di investimenti profondi, affidandogli eredità e compiti, e a cui vogliono, come si dice, “dare un futuro”: ma quale futuro dare a un bambino impedito a crescere dalla malattia? Comprendiamo come il trauma indotto dalla malattia sia spesso più forte nei genitori che nel malato: esso può giungere a incrinare o a distruggere le relazioni di coppia, a minare il desiderio di vivere, a bloccare ogni forma di progetto.

Senza contare il senso di impotenza del padre e della madre che vorrebbero e che avrebbero come compito la protezione del figlio e si vedono inabilitati a questo dalla devastante malattia del figlio. Mi sembra importante a questo proposito ricordare il gesto di Gesù che, giunto a casa di Giairo dopo che la figlia del capo sinagoga era morta, cacciati fuori dalla casa tutti coloro che facevano il lutto, “prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina” (Mc 5,40). E dopo averla risvegliata la restituisce ai genitori, la ridà viva ai genitori che possono rinascere essi stessi: la coppia genitoriale viene ricostituita. E, osserva Marco con tocco che rivela la squisita sensibilità umana e il realismo di Gesù, “disse di darle da mangiare” (Mc 5,43; cf. Lc 8,55).

Come in una nuova nascita, i genitori sono reinvestiti del compito di nutrire, allevare, far crescere. L’amputazione rappresentata per i genitori dalla perdita di un figlio viene sanata. Analogamente, in Lc 9,42, nella redazione lucana dell’episodio del ragazzo epilettico, Gesù “risanò il ragazzo e lo consegnò a suo padre”. Gesù restituisce alla famiglia i malati che ha risanato. Avviene così anche per lo schizofrenico di Gerasa che, guarito da Gesù, si vede interdetto il suo desiderio di seguirlo e si sente dire: “Va’ a casa tua, dai tuoi” (Mc 5,19). La guarigione del malato diviene anche ricomposizione e guarigione della famiglia.

Certo, circa il rapporto famiglia-malato, i vangeli presentano anche situazioni paradossali. L’uomo cieco dalla nascita e guarito da Gesù (Gv 9,1ss.) viene in sostanza rifiutato dai suoi genitori che, da un lato, non possono non riconoscere che quell’uomo vedente è il loro figlio che prima non ci vedeva, ma, dall’altro, per paura e per motivi di convenienza, sono reticenti a riconoscere apertamente di fronte alle autorità ciò che è avvenuto e se ne deresponsabilizzano, di fatto abbandonando il figlio (Gv 9,22-23: “Questo dissero i suoi genitori perché avevano paura dei giudei; infatti, i giudei avevano già stabilito che, se uno avesse riconosciuto Gesù come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età, chiedetelo a lui»”).

Paradossalmente, sarebbero stati più contenti se il loro figlio fosse rimasto come era prima, cieco. Quella guarigione disturba assetti ormai assodati. Non troviamo in loro quella compassione che abita invece Gesù nel suo avvicinare malati e familiari (Mc 9,22: “Abbi compassione di noi”) e che mostra anche di fronte alla madre (già vedova) che accompagnava il funerale del figlio unico: “Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!»” (Lc 7,13).

Di fronte alla cautela del padre che si rivolge a Gesù dicendogli: “Se tu puoi qualcosa, aiutaci”, Gesù ribatte con veemenza ricordando la potenza della fede: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede” (Mc 9,23). Il genitore è così chiamato a fare del calvario dell’accompagnamento di un figlio malato l’occasione di un cammino di fede. E il padre compie questo cammino vedendo resa umile la sua fede: “Credo, vieni in aiuto alla mia mancanza di fede” (Mc 9,24). La prova della malattia del congiunto, del familiare amato e malato, diviene prova della fede: capace di rendere la fede umile, cosciente della sua forza, ma anche della sua fragilità. O meglio, il credente provato è cosciente della forza della fede e della fragilità del proprio credere. Egli sa che nella sua fede vi è sempre anche una non-fede.

E questa fede è esperienza pasquale, esperienza di morte e resurrezione. I versetti finali del nostro racconto dicono: “Il ragazzo divenne come morto (nekròs), così che molti dicevano: «È morto» (apéthanen). Ma Gesù, presa la sua mano, lo fece alzare (égheiren) ed egli si levò (anéste)” (Mc 9,26-27). Ritornano qui i quattro verbi del kerygma cristiano, dell’annuncio della morte e resurrezione di Gesù. A significare che il cammino di fede percorso dal padre di questo ragazzo malato è stato un cammino pasquale, un’esperienza di fede pasquale.

Infine, l’episodio della resurrezione della figlia di Giairo, mostra il coinvolgimento della comunità cristiana nel rapporto con la famiglia dove c’è un malato. Secondo Marco e Luca, Gesù lascia entrare nella stanza dove c’è la bambina ormai morta solo i genitori e, del gruppo dei Dodici, “Pietro, Giacomo e Giovanni” (Mc 5,37.40; Lc 8,51) che la lettera ai Galati chiamerà “le colonne” della comunità cristiana di Gerusalemme (Gal 2,9). La comunità cristiana è dunque presente a questa azione di Gesù ed è chiamata ad entrare nella casa della famiglia dove c’è un malato o un morto. Cioè, Gesù, mentre indica ai familiari di un malato l’accompagnamento del congiunto come cammino di umanizzazione e di fede, indica anche alla comunità cristiana un compito: mai lasciare sole le famiglie nelle loro dolorose esperienze di malattia. “Curate i malati” (Mt 10,8): il comando dato da Gesù ai suoi discepoli, comporta anche questo compito.

 Testo della conferenza tenuta a Torino, il 9 febbraio 2008, al convegno diocesano su “La famiglia nella realtà della malattia”, in occasione della XVI Giornata Mondiale del Malato

Biografia

Luciano Manicardi è nato a Campagnola Emilia (Reggio Emilia) nel 1957. Si è laureato in lettere classiche a Bologna, con una tesi sul Salmo 68. Dal 1981 fa parte della Comunità Monastica di Bose (BI), dove ha continuato gli studi biblici ed è attualmente Maestro dei novizi. 

Membro della redazione della rivista “Parola, Spirito e Vita” (Dehoniane, Bologna), svolge attività di collaborazione a diverse riviste di argomento biblico e spirituale, tiene conferenze e predicazioni.

Dal 2008 è membro del Comitato Culturale della Fondazione Alessandra Graziottin


Mons. GIOVANNI VOLTA: ASCOLTO E INTERIORIZZAZIONE

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Monsignor Giovanni Volta durante una celebrazione eucaristica in San Pietro in Ciel d'Oro

Monsignor Giovanni Volta durante una celebrazione eucaristica in San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia dove sono conservate le reliquie di Sant’Agostino.

Monsignor Giovanni Volta, vescovo emerito di Pavia, è tornato alla casa del Padre.

Lo ricordiamo attento studioso di Agostino di cui ha sempre cercato di cogliere il profondo nesso fra testimonianza, ascolto e interiorizzazione. Monsignor Volta, citando Agostino, era solito dire “Non ci può essere vera testimonianza se non c’è ascolto e l’ascolto si approfondisce nell’interiorizzazione”.

La comunità agostiniana di Pavia ricorda con affetto il suo pastore emerito e ringrazia il Signore per gli anni di fecondo ministero pastorale nella diocesi.

Ascolta una recente riflessione del Vescovo monsignor Giovanni Volta su Sant’Agostino

BUON ASCOLTO E BUONA INTERIORIZZAZIONE

Sant'Agostino con il figlioAgostino con il figlio Adeodato


64 ANNI FA PRIMA COMUNIONE E CRESIMA

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Cervignano del Friuli - San Michele arc.1

Angelo Nocent - Cresima

 Mons. Carlo Margotti arcivescovo di GoriziaL’arcivescovo di Gorizia. Mons. Carlo Margotti

29 Settembre 1950

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A sinistra del presbiterio: San Michele Arcangelo, patrono della città.

Cervignano del Friuli - Vecchia Parrocchiale San Michele 01

Salmo 34

2Benedirò il Signore in ogni tempo:
sulle mie labbra sempre la sua lode.
3Io voglio gloriarmi del Signore:
gli umili udranno e saranno felici.
4Celebrate con me il Signore perché è grande,
esaltiamo tutti insieme il suo Nome.

5Ho cercato il Signore e m’ha risposto,
da tutti i timori m’ha liberato.
6Chi guarda a lui diventa raggiante,
dal suo volto svanisce la vergogna.
7Se un povero grida, il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angustie.
8L’angelo del Signore veglia su chi lo teme
e lo salva da ogni pericolo.

9Gustate e vedete come è buono il Signore:
felice l’uomo che in lui si rifugia.
10Ubbidite al Signore, voi suoi fedeli:
nulla manca all’uomo che lo teme.
11Anche il leone può soffrire la fame,
ma chi cerca il Signore non manca di nulla.

12Venite, figli, ascoltatemi:
io vi insegnerò il timore del Signore.
13Se un uomo desidera gustare la vita,
se vuole vedere molti giorni felici,
14tenga lontano la lingua dal male
con le sue labbra non dica menzogne.
15Fugga il male e pratichi il bene,
cerchi la pace e ne segua la via!
16L’occhio del Signore segue i giusti,
il suo orecchio ne ascolta le grida.
17Il suo sguardo affronta i malvagi,
e ne cancella perfino il ricordo.
18Il Signore ascolta chi lo invoca
e lo libera da tutte le sue angustie.
19Il Signore è vicino a chi ha il cuore affranto,
salva chi ha perso ogni speranza.

20Molti mali colpiscono il giusto,
ma il Signore lo libera da tutti.
21Il Signore protegge anche le sue ossa,
neppure uno gli sarà spezzato.
22Il male ucciderà il malvagio;
chi odia il giusto sarà condannato.

23Il Signore riscatta la vita dei suoi servi,
chi ricorre a lui non sarà condannato.

Eucaristia - Prima comunione

GRAZIE, SIGNORE !

Carlo Maria Martini - Eucaristia 2

Crocifisso - passione


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